Ho iniziato a viaggiare nel 1978 alla ricerca dell'avventura che in quegli anni faceva parte di ogni esperienza oltre i confini del mondo occidentale.
La mia passione per la montagna mi spinse poi alla scoperta delle più alte vette della Terra, fu così che iniziai a esplorare l'Himalaya e ricercarvi i recessi più reconditi: ebbi l'opportunità di penetrare in alcune aree dove pochi occidentali avevano avuto la possibilità di incontrare minoranze etniche ancora culturalmente intatte. Per trent'anni volai per il mondo, ho visitato più di settanta paesi, penso di aver compiuto molte volte il giro del globo. Con me la fidata Nikon che mi ha sempre accompagnato lungo i sentieri himalayani, i ghiacci dell'Artico, le antiche carovaniere asiatiche, gli infuocati deserti africani, non so quanti "clic" ho scattato, sicuramente migliaia e migliaia, sono stati impressionati chilometri di pellicola, la cara pellicola che ormai abbiamo quasi dimenticato, racchiusa in quei rullini così preziosi che, fino al ritorno dal viaggio, non ci permettevano di sapere se le nostre immagini fossero riuscite o meno. E se la fotografia all'inizio costituiva il modo più semplice di portare a casa ricordi, con il passare del tempo mi resi conto che si stava trasformando in una necessità e che, nella fotografia, cercavo l'essenza dei luoghi che visitavo.
Oggi quegli scatti rimangono a testimoniare l’esistenza di un mondo che già a distanza di trent’anni si è trasformato inesorabilmente, talvolta a causa di conflitti che ne hanno modificato la geografia, molte volte a causa del trascorrere del tempo che, poco a poco, cancella l’esistenza del passato. Ogni istantanea mi rammenta incontri con persone che mi rimarranno sconosciute per sempre, persone incrociate per qualche istante di cui custodisco solo il ricordo fissato da un “clic”, immagini preziose e irripetibili.
Piccola bimba vestita di rosso con una bambolina in mano, ti ho incontrato per un attimo nel villaggio Kirghiso sugli elevati altopiani del Pamir cinese; in quel luminoso mattino di agosto facesti capolino dalla porta della tua "yurta", curiosa come tutti i bambini del mondo, e mi concedesti solo quello scatto prima di rientrare impaurita.
Era il 1990, ormai sarai una donna e chissà se vivi ancora in quello sperduto villaggio lungo la Via della Seta; forse lassù tutto sarà cambiato, i mezzi motorizzati avranno sostituito i cammelli e le case in muratura le "yurte" in feltro, sicuramente il nomadismo dei kirghisi sarà stato interrotto dai cinesi e con esso tradizioni e costumi.
Di allora mi rimane quella foto che ha fermato il tempo e ripropone un mondo intatto, ormai perduto… molte volte una sola immagine può essere sufficiente per cogliere il nocciolo di una storia: questo è il miracolo della fotografia.
Sugli elevati altopiani del Pamir cinese, i nomadi Kirghisi utilizzano cammelli e cavalli per spostarsi da una valle all'altra, alla ricerca di nuovi pascoli per i loro animali. Le verdeggianti sponde del lago Karakul contrastano con le montagne circostanti, brulli e arrotondati rilievi che si perdono in lontananza, culminando nelle scintillanti vette del Kongur. Le bianche tende in feltro - le yurte - occupano gli spazi pianeggianti della montagna, i nomadi vi trascorrono la breve estate con le loro mandrie di yak.
Un anziano a cavallo mi viene incontro: la lunga barba incolta, il colbacco di pelliccia e l'aspetto fiero mi ricordano le feroci orde di Gengis Khan che giunsero fin qui in epoche passate.
Sulla porta di una yurta una bambina vestita di rosso mi osserva immobile, ha tra le mani una bambola di pezza che si stringe al petto. Qui nulla sembra cambiato dai tempi in cui il nostro Marco Polo descriveva la vita di queste contrade nel suo Milione. Passò per la città di Kashgar e scrisse: "E a Casciar vivono di mercanzia e di arti. Egli hanno belli giardini e possessioni. Vi nasce bambagia e lino e sonvi molti mercanti che cercano tutto il mondo". Certamente il veneziano trovò una città ricca e commercialmente attiva, un nodo viario importante situato tra il cuore del grande Impero cinese e le vie carovaniere che congiungevano l'Oriente con il bacino del Mediterraneo.
Nonostante diversi secoli siano trascorsi, Kashgar è ancora una città florida, il suo mercato domenicale è conosciuto in tutto il mondo e vi si concentrano più di 5000 persone che già dalle prime ore del mattino, convergono nel capoluogo trasformandolo nel più grande bazar dell'Asia centrale. Arrivano al ritmo traballante dei carretti trainati da asini o cavalli, gli uomini avvolti nei lunghi cappottoni di lana e con i colbacchi di pelliccia; le donne col volto coperto da un pesante velo marrone; nel vociare incessante, il profumo delle spezie e della frutta si mescola al fumo dei narghilè, all'odore dei dolci d'uva sultanina, ai profumi che si alzano dalle centinaia di ristorantini all'aperto.