Perù e Bolivia - quando la bellezza lascia (letteralmente) senza fiato

A cura di: Tommaso Balestrini

di Tommaso Balestrini

 
Il mio viaggio in Perù e Bolivia inizia a Lima, da dove con un volo di linea raggiungo Cuzco, situata a quasi 3.400 metri sul livello del mare. A Cuzco, che la leggenda vuole fondata da Manco Capac, figlio del dio sole, nel punto dove si trova l'ombelico della terra (da qosq'o, in lingua quechua "ombelico"), la storia si confonde con il mito. La città, immersa nell'aria rarefatta delle Ande, mi conquista al primo sguardo per il suo fascino meticcio – splendidi edifici coloniali poggiano sulle massicce fondamenta posate dagli Incas – e per l'atmosfera frizzante che anima i suoi vicoli. Nelle foto che seguono la Plaza de Armas, cuore pulsante della città, ripresa di giorno e in una veduta notturna.

Un bel tragitto in treno lungo la valle del Rio Urabamba conduce da Cuzco ad Aguas Calientes e di lì a Macchu Pichu, la città perduta degli Incas. Le rovine, al tempo del ritrovamento di Hiram Bingham (lo storico americano che le scoprì nel 1911) coperte da una fitta vegetazione, oggi appaiono all'improvviso, come per incanto, oltre un ingresso anonimo che non lascia immaginare un simile spettacolo. Varcato l'ingresso al sito, si apre uno scenario da sogno in cui le rovine, arroccate su un crinale stretto fra picchi affilati e profonde valli, paiono galleggiare in uno spazio senza tempo. Mi perdo per ore fra mura, terrazze e scalinate, incurante dei visitatori che le affollano, prima di accorgermi che purtroppo, troppo presto, l'ultimo treno per Cuzco è in partenza. Nella foto una veduta delle rovine di Macchu Pichu.

 

Lascio il Perù e giungo a Copacabana, poco oltre il confine boliviano, al termine di un lungo trasferimento in bus da Cuzco. Sono giorni di festa in Bolivia – si celebra infatti la festa dell'indipendenza (il 6 agosto) – e Copacabana, tranquilla cittadina che sorge sulle sponde del lago Titicaca ad oltre 3.800 metri di altitudine, si trasforma in una bolgia infernale. In ogni angolo della città, invasa da migliaia di pellegrini provenienti da tutto il paese, si celebrano cerimonie e benedizioni rituali (cha'lla, in lingua quechua) che si susseguono senza sosta, innaffiate da fiumi di birra, in una curiosa mescolanza di sacro e profano.

Da Copacabana è possibile raggiungere in battello l'antistante Isla del Sol, ricca di interessanti siti archeologici, che emerge dalle acque color zaffiro del lago Titicaca, nella meravigliosa cornice della Cordigliera Real.
Nelle foto che seguono il santuario posto in cima al Cerro Calvario (il picco che domina la città), donne chola in abito tradizionale e bambini al mercato di Copacabana.



Con un bus partito da Copacabana raggiungo La Paz, la capitale più alta del mondo, dove mi fermo per un paio di giorni. La Paz è adagiata nello spettacolare imbuto naturale scavato dal Rio Choqueyapu, all'interno del quale la città si allunga e si arrampica, fra mille contraddizioni, in un crescendo di degrado e di miseria, dalle ville con piscina dell'esclusiva Zona Sur (a circa 3.200 metri sul livello del mare), su fino alle baraccopoli della Zona Norte e della vicina El Alto, a oltre 4.000 metri di altitudine. Da non perdere la discesa in mountain bike lungo la famigerata "strada più pericolosa del mondo", circa 70 chilometri di stretti tornanti sospesi nel vuoto che collegano La Paz a Coroico. Nelle foto che seguono un ambulante vende bibite nei pressi dell'Iglesia de San Francisco, nel centro di La Paz, e una veduta della città ripresa da El Alto.

Da La Paz proseguo per Sucre, soprannominata la "città bianca delle Americhe" per il candore dei suoi edifici in stile coloniale, e, di lì, a bordo di un taxi, compartido con un distinto uomo d'affari, giungo a Potosì. "Sono la ricca Potosí, il tesoro del mondo… e l'invidia dei re.": questi i versi incisi sul primo stemma della città, che alla fine del XVIII secolo diventò, grazie all'argento estratto dalle miniere del Cerro Rico (la montagna che sovrasta la città), il più grande e ricco centro urbano delle Americhe. Oggi Potosì, pur lontana dai fasti del passato, affascina per il sapore decadente delle sue chiese e dei suoi palazzi fatiscenti, mentre migliaia di potosinos, oggi come allora, ogni giorno, continuano a scavare nell'inferno delle miniere del Cerro Rico. Per comprendere in quali condizioni siano tuttora costretti a lavorare i minatori di Potosì – la cui aspettativa di vita, a causa dei crolli e della silicosi polmonare, non supera i quarant'anni – una visita alle miniere è d'obbligo. Nelle foto che seguono, il Convento di San Felipe Neri a Sucre ed un vicolo della città vecchia di Potosì.

Paesaggi ed atmosfere da far west fanno da cornice al successivo trasferimento da Potosì alla spettrale cittadina di Uyuni, da cui un'escursione in fuoristrada di tre giorni, con pernottamento in gelidi rifugi (di notte la temperatura scende oltre i - 20 C°), conduce prima al Salar de Uyuni, per poi proseguire lungo le piste polverose della Reserva Eduardo Avaroa. Situato a circa 3.700 metri sul livello del mare, il Salar de Uyuni, con la sua superficie di circa 12.000 km2, è la più vasta salina del mondo (si stima che contenga almeno 10 miliardi di tonnellate di sale). Il Salar è un luogo magico, ai confini del reale, che non si può dimenticare: un oceano bianco in cui i sensi annegano, sopraffatti dal silenzio immobile, dalla monotonia dell'orizzonte, dal bagliore accecante che si leva dalla distesa di sale, avvolgendo ogni cosa. Nelle foto che seguono, mucchi di sale pronti per la lavorazione e i giganteschi cactus dell'Incahuasi, singolare isolotto al centro del Salar.

La Reserva Nacional de Fauna Andina Eduardo Avaroa occupa una regione desolata e inospitale della Bolivia meridionale e rappresenta l'ultimo rifugio per alcune delle specie animali più selvatiche dell'America del Sud. Qui Pachamama, la divinità che impersona la madre terra, ha creato un vero e proprio capolavoro: praterie popolate da branchi di alpaca, formazioni rocciose dall'aspetto surreale, lagune punteggiate di fenicotteri, geyser avvolti in nuvole di zolfo e vulcani incappucciati dalla neve, si alternano in un trionfo di forme e di colori, ad un'altitudine che sfiora i 5.000 metri, lungo il confine con il Cile. Dopo circa 3.000 chilometri percorsi attraverso Perù e Bolivia, il mio viaggio ha termine in territorio cileno, a San Pedro de Atacama, da dove un lungo tragitto in bus via Arica mi riporta a La Paz. Nelle foto che seguono l'ingresso alla riserva e l'incredibile colorazione dell'acqua della Laguna Colorada.



 

Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini
Tommaso Balestrini

 
 

Metodi di pagamento: