I protagonisti dei miei racconti fotografici sono uomini e donne non omologabili, eroi senza tempo che testimoniano con la loro esistenza un diverso punto di vista. Come autore racconto il loro quotidiano impegno: le mie immagini non vogliono essere fotografie nostalgiche ma, piuttosto, fotografie della memoria. L'obiettivo è di richiamare in chi le fruisce, la consapevolezza che esiste anche un mondo "altro".
Il mio spazio di indagine è la quotidianità umana: osservo l'evidente per portare alla luce il lato meno sondabile, il lato emozionale. Concepisco la fotografia, come un atto impulsivo, ritengo che essa debba essere estetica, ovvero debba prediligere la conoscenza dei sensi al formalismo della ragione. Personalmente concepisco la fotografia non come semplice rappresentazione della realtà, ma piuttosto come il propagarsi - oltre il corpo - di un'espressione intima del sentire: il fotogramma non è l'immagine è l'emozione.
Alcuni dei miei progetti, come PENTH-MI, sono lavori indipendenti, altri, come alcune recenti pubblicazioni con l'editore GIUNTI sono progetti di "documentazione", che indagando il legame uomo-territorio coniugano la dimensione scientifica (dell'analisi etnografica dei ricercatori con cui collaboro) con quella emotiva dell'artista, conscio che, come scrive Bresson: "E' un'illusione che le foto si facciano con la macchina, si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa." PENTH – MI è un progetto in progress: un ampio lavoro di ricerca, che vuole dar un volto ed una voce alle comunità contadine africane. Il progetto nasce dalle ricerche fotografiche dei miei precedenti lavori e da alcune recenti collaborazioni con le realtà internazionali di volontariato in Africa. Un continente in cui oltre il settanta percento della popolazione è dedita ad attività di sussistenza. Si tratta di agricoltori, pastori, pescatori, lavoratori stagionali e piccoli artigiani di popolazioni indigene la cui quotidiana esistenza raramente cattura l'attenzione del mondo, una cultura ed una tradizione a rischio, probabilmente seriamente minacciata di scomparire. Attraverso la fotografia ho voluto cogliere le emozioni più profonde del loro quotidiano vivere e attraverso la registrazione di interviste, leggende, proverbi e canzoni locali il progetto vuole salvaguardarne la cultura tradizionale, che è esclusivamente orale.
Parto per l'Africa che ho da poco concluso il libro "Pastori nelle Alpi" (ed. Giunti), frutto del progetto comunitario Alpinet Gheep, che mi ha condotto per un intero anno sulle tracce dei transumanti dell'arco alpino, pubblicato anche sul numero di Maggio 2009 di Sguardi Online. Anche PENTH – MI nasce nell'ambito di un progetto di cooperazione, promosso dalla onlus di volontariato internazionale "La Savana". Il cui presidente, Mamadou Sow, era un pastore peul, che negli anni Settanta, poco più che adolescente, è stato costretto a lasciare la propria famiglia e la propria terra in seguito ad un periodo di siccità particolarmente feroce. Il progetto di cooperazione allo sviluppo è promosso dalla Provincia Autonoma di Trento, Assessorato alla Solidarietà Internazionale e alla Convivenza, e realizzato anche grazie al meritorio contributo del Comune di Nomi (Trento) - Amministrazione e collettività tutta - che ha attivato una preziosa raccolta di fondi e materiale per l'Africa.
Il nostro impegno, si rivolge alle comunità che orbitano attorno al villaggio di Burukundà, nella fascia semidesertica del Sahel, nella parte orientale del Senegal. Un territorio di circa quaranta chilometri quadrati, in cui si stima vivano millecinquecento persone, riunite in ottanta famiglie. Gli obiettivi del progetto sono molteplici, distribuire farmaci e vestiario di prima necessità, favorire la scolarizzazione di base, sviluppare un percorso di mediazione culturale, avviare un progetto di indipendenza alimentare, individuando nello sviluppo dell'allevamento e dell'agricoltura sostenibile, le principali attività di sostegno economico delle comunità rurali locali. Il progetto prevede la realizzazione un nuovo pozzo comunitario per i villaggi, la costruzione di un piccolo magazzino per lo stoccaggio dei prodotti comuni dell'agricoltura e la fornitura di bestiame e sementi per sanare la situazione di insufficienza alimentare, che interessa l'intera regione sin dalla siccità degli anni Settanta. Le fotografie che presento per Nikon, raccontano il nostro arrivo nel villaggio di Burukundà e il vissuto della comunità nei giorni immediatamente successivi. Sono un omaggio personale all'amico Mamadou, presidente della onlus "La Savana", a tutti coloro che contribuiscono al progetto e alle gente delle comunità rurali incontrate, detentori di un "mondo altro", fatto di un tempo ancora capace di trascorrere lento e di una forte dimensione umana, che si realizza nell'energia, nell'ospitalità e nello spirito di fratellanza delle popolazioni dell'Africa. Le didascalie che vi propongo, non hanno lo scopo di descrivere l'immagine - ognuna delle quali ritengo sia di per se un racconto oltre le parole - ma vogliono suggerire punti di riflessione o, semplicemente, sottolineare aspetti propri della cultura locale.
I villaggi rurali sorgono attorno al pozzo comune dell'acqua, non esistono strade asfaltate, non vi è l'elettricità. Esiste ancora la famiglia allargata: non di rado un uomo è sposato con più donne, solitamente due o tre, ognuna madre di tre o quattro figli. Le donne si occupano della casa, dei bambini, di prendere l'acqua al pozzo e della trasformazione dei prodotti agricoli. Gli uomini curano il bestiame, lavorano i campi, escono per la pesca o sono piccoli artigiani. Nei villaggi non esiste criminalità e non si percepiscono forme di discriminazione sociale: i portatori di handicap e i malati mentali sono considerati figli dell'intera collettività. Si vive in regime di mutuo aiuto e i gruppi condividono ampiamente e pubblicamente le scelte comuni. La vita scorre intatta, in equilibrio con i ritmi naturali, come deve essere stata sulla terra migliaia di anni fa. Queste comunità rurali sono minacciate dal mondo "esterno", quello delle città e del commercio internazionale, dato che le grandi realtà fondiarie sottraggono quotidianamente aree coltivabili ai piccoli nuclei e impiegano i più giovani per pochi euro al giorno. Sono realtà soggette a un intenso spopolamento, perché - un paradosso in tempi di crisi alimentare - i giovani abbandonano le campagne riversandosi in massa nelle città, attratti dai nuovi stili di vita e dalla speranza di trovare un facile lavoro. Spesso si stabiliscono nelle zone costiere, dove è più facile reperire denaro ingegnandosi con il ricco turista, e se riescono a risparmiare considerevolmente (tra i mille e i millecinquecento euro per imbarcarsi da St-Louis, circa trecento per giungere nascosti nei camion a Nouakchott), a volte cercano la fuga clandestina verso l'Europa, la "Terra Promessa".
Oggi l'Africa è invasa da prodotti esteri, che risultano più economici di quelli locali grazie alle sovvenzioni di cui beneficiano. Gli abitanti, inconsapevoli del dumping agricolo che con tutta probabilità rende vani i loro sforzi per raggiungere un minimo vitale decente, non si accorgono dell'inganno del mondo occidentale, che nell'era della crisi finanziaria globale strizza l'occhio ai Paesi poveri del mondo come serbatoio di potenziali consumatori e manodopera a basso costo. Mentre l'Occidente si interroga sui modelli da applicare per poter governare la decrescita, i ragazzi senegalesi aspirano a possedere case ricche, vestiti griffati e auto potenti come i loro idoli europei, per lo più calciatori, cantanti e attori.
Il vertice Onu, chiamato a dotare il pianeta di nuove regole per contrastare il surriscaldamento globale, disegna un futuro drammatico. La comunità scientifica internazionale definisce fondamentale per l'intera popolazione della Terra: "tutelare i modelli di vita indigena e studiare la biodiversità che li caratterizza, per trasferirli in modo adeguato alle generazioni future, affinché possano realizzarsi modelli di sviluppo socio-economico universalmente compatibili". (BBC, 23 dicembre 2009)
Il senegalese Mamadou Cissoko, presidente onorario della ROPPA (rete dei contadini africani), in occasione di una recente visita a Roma su invito di ITALIAFRICA ha dichiarato: "Io non sono venuto nel vostro Paese, perché penso che l'Europa possa sviluppare l'Africa, ma per prevenire che la distrugga!".
La necessità di investimenti per debellare la fame e per garantire l'assistenza sanitaria e l'educazione di base a livello mondiale è ben minore delle somme esorbitanti destinate agli armamenti e alla gestione della crisi finanziaria attuale: 1200 miliardi di euro spesi in armamenti nel solo 2006, 1000 miliardi di euro utilizzati nell'anno in corso per arginare la crisi. In tutto ciò nessuno sembra disposto anche solo a prendere in considerazione i problemi dei "giovani africani rurali, senza difesa, il cui diritto all'educazione, all'informazione economica, al lavoro sono calpestati nei loro stessi paesi d'origine. Vittime di decisioni e scelte macroeconomiche di cui non sono minimamente responsabili, sono schedati, cacciati ed umiliati quando tentano di cercare una via di uscita emigrando. Ogni anno, circa due milioni di africani cerca di entrare illegalmente nel territorio dell'Unione europea: circa duemila muoiono nel Mediterraneo e altrettanti fra le onde dell'Atlantico." (Le Monde Diplomatique 17/03/2008).
«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Una selezione di "PENTH-MI", è stato recentemente allestito in forma di mostra fotografica nell'ambito della manifestazione di arte e giornalismo "Rintracciarti CARTA BIANCA: il diritto di sapere, il dovere di informare", presso il Palazzo della Ragione di Mantova. ATTREZZATURA UTILIZZATA
CHRISTIAN CRISTOFORETTI www.photographers.it/free/chc-christiancristoforetti-fotografiedautore/ www.gamberorosso.it/photogallery www.icimod.org/photocontest2008 Info: chc_iaf@yahoo.it
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