L’idea, assolutamente innovativa e perfettamente in linea con le mie opere materiche, è stata quella di utilizzare la terra come schermo da proiezione. Quadri che ospitavano foto stampate su terra e quadri di terra su cui proiettare una sequenza di “immagini dinamiche”...
Mi lusinga venir considerato e presentato come viaggiatore, ma i pochi reportage che ho realizzato in aree remote non giustificano questa definizione. Non sono riuscito a viaggiare quanto mi sarebbe piaciuto, non nei termini convenzionali almeno. Eppure…
Eppure tante volte mi sono ritrovato a esplorare mondi sorprendenti e meravigliosi, a calpestare sentieri poco frequentati se non sconosciuti e ad ammirare, estasiato, improbabili paesaggi dalle bizzarre e coloratissime forme.
Madre Natura è stata generosa con me quando mi ha regalato le chiavi per aprire quella stretta porticina, nascosta e segreta, di cui si narra in certe fiabe. Quella porticina l’ho trovata, una minuscola fessura nella parte posteriore della mia fotocamera… È bastato appoggiare l’occhio che subito ne sono stato risucchiato e proiettato in una dimensione inaspettata, sconosciuta, affascinante e ammiccante, apparentemente così remota da sembrare un paesaggio alieno eppure così fisicamente vicina, solo pochi centimetri oltre l’obiettivo.
Questa la dimensione del mio frequente viaggiare. Viaggi sospesi tra realtà e sogno, introspezione e ricerca, emozioni e conoscenze.
Viaggi nei quali, per paradosso, le distanze si annullano e anche gli ordini di grandezza e il concetto di tempo, così come noi li conosciamo e senza i consueti riferimenti, perdono di senso. Viaggi necessariamente solitari, viaggi che non posso condividere, solo raccontare.
Un racconto, questo, che ho iniziato nel 2006 con “Orto-Grafie”, la mia prima personale di arte contemporanea presso Ca’ dei Carraresi a Treviso. “L’Orto delle Meraviglie” lo definì Repubblica, e Rai3 ne ricavò la copertina del programma settimanale AGRI3 andato in onda per quasi tre anni. Immagini di un reportage totalmente realizzato in una serie di viaggi consumati tra la mia cucina e la campagna intorno a casa. Fotocamera in mano e un buon treppiede sempre pronto, ricercavo gli ortaggi lungo perigliosi sentieri tra fornelli e passaverdura, affilati coltelli e fragili cristalli. Mi sono persino infilato in pentole in ebollizione e avventurato sopra bollenti soffritti per poi andarmi a rinfrescare nel frigo. Non ho tralasciato nemmeno lavello e lavastoviglie, e certamente non ho dimenticato i residui vegetali prima di gettarli nel bidone dell’umido.
Esplorazione casalinga, viaggio introspettivo low, low-cost, autentico viaggiare o solo un tentativo di far di necessità virtù? Eppure di questi viaggi conservo ricordi indimenticabili, esperienze affascinanti e sorprendenti quanto quelle vissute negli sconfinati deserti australiani o tra i vulcani e i ghiacci d’Islanda.
Lo zaino fotografico sempre pronto, mi basta prenderlo e partire… ogni volta che ne ho desiderio, necessità, ispirazione, opportunità, in ogni momento libero, quotidianamente o quasi. Non ci sono mura che mi possano imprigionare, né limiti, non più o non solo via di fuga, ma potente chiave di accesso verso mondi liberi e sconfinati. È così che ho viaggiato. È così che continuo a viaggiare.
Dagli ortaggi in cucina agli alimenti il passo è stato breve, complice anche “Viaggi e sapori” che mi offrì di documentare una rubrica monografica mensile: spaghetti, sale, zucchero, olio, cozze, caviale, fichi, cioccolata… Nuovi soggetti, nuovi stimoli.
Cibi e vini non potevano che incuriosirmi e orientare i miei successivi passi verso l’eterea e raffinata sfera del gusto e dell’olfatto, degli odori, degli aromi e dei sapori.
Una sfida affascinante e complicatissima, probabilmente impossibile: narrare le impalpabili e inconsistenti sensazioni, ancorché poco definibili e avare di riferimenti oggettivi, che stanno tra la chimica sensoriale e la personale sublimazione emozionale del cibo.
Il mio “Mondo delle Meraviglie”, transitato per “L’Orto delle Meraviglie”, sempre più ricco di racconti e immagini raccolte durante il lungo percorso, impreziosito da contaminazioni sensoriali e proiettato verso una percezione sinestetica, stava iniziando ad assumere la sua veste più ampia e completa. La metamorfosi si stava compiendo, era nato “L’Orto dei sensi”.
L’occasione è stata Fantadia – Festival Internazionale di Multivisione svoltosi ad Asolo (TV) nel 2013. L’unione tra l’uso disinibito e un po’ trasgressivo a cui da tempo sottopongo le mie immagini con le diversificate ed eclettiche esperienze multimediali di Francesco, ci ha portato a immaginare e progettare un’installazione artistica sperimentale - “L’Orto dei sensi” - che abbiamo allestito e presentato nello spazio interno di una chiesa sconsacrata.
L’idea, assolutamente innovativa e perfettamente in linea con le mie opere materiche, è stata quella di utilizzare la terra come schermo da proiezione. Quadri che ospitavano foto stampate su terra e quadri di terra su cui proiettare una sequenza di “immagini dinamiche”.
Quattordici Orto-Grafie miscelate in un’unica scenografia con oltre una ventina di quadri dinamici e sullo sfondo un enorme telo bianco che ricopriva interamente l’arco verso l’altare. Su tutto ciò una rete di sette proiettori sagomati e controllati da alcuni computer diffondevano immagini e suoni per uno spettacolo di alcuni minuti.
Questa l’esperienza di Asolo, ma “L’Orto dei sensi” è molto altro ancora. È un progetto artistico multimediale e multisensoriale in progress, un introspettivo ed emozionale viaggio alla scoperta dei sapori e delle eccellenze agro-alimentari di un territorio, piccolo o immenso che sia.
Un percorso sperimentale che si sviluppa tra materia e immagini, reale e onirico, sculture e suoni, profumi e sapori. Un percorso che si fonda sulla sinergia tra la forza materica e concettuale dell’arte e la potenza espressiva della fotografia, tra lo spettacolare ed emozionante impatto della narrazione multivisiva e il piacere di contaminazioni olfattive e gustative.
Il mio lungo viaggio non si è concluso. Un viaggiatore non è mai completamente appagato e il desiderio di scoprire e conoscere probabilmente è destinato a non cessare mai.
Tuttavia grazie alla fotografia, a questa fotografia che vi ho raccontato, sono riuscito a far convivere la preziosa, ma talora ingombrante, eredità ricevuta dai miei genitori. Sono riuscito a coniugare la grande curiosità e creatività che anche da casalinga mia madre è riuscita a esprimere, con l’essenza scientifica, profondamente e rigorosamente tecnica di mio padre. Nel tempo sono riuscito a trovare risposte ai tanti interrogativi e agli apparenti errori che questo profondo dualismo ha provocato nel mio vissuto, a cominciare dal non lucido, né consapevole allora, ma certamente errato percorso di studi. E quello professionale, così tiepido e che così poco mi appartiene, un lavoro part-time per impegno e coinvolgimento emotivo.
L’incessante e insopprimibile bisogno di esprimere ciò che stava profondamente celato e covava represso nel mio intimo, si è rivelato infine un’inesauribile e potente fonte di energia, un sacro fuoco. Un’inarrestabile forza interiore in grado di riconvertire in stimoli positivi, sempre nuovi, qualsiasi frustrazione, fallimento, ostacolo, situazione negativa, noia, fatica, incomprensioni…
Grazie alla fotografia, e da qualche anno ne sono pienamente consapevole, ho accettato e imparato ad apprezzare il mio dualismo, ho trovato le risposte che cercavo e ora mi sento leggero e sereno. Ho finalmente capito cosa mi piacerebbe fare da grande!