...e dopo qualche scatto, nonostante avessi al collo una reflex digitale di ultima generazione, mi sembrava di fotografare ancora con la mia vecchia e cara Nikon FE, e che tutto fosse rimasto immutato...
Ho cinquantasei anni e la prima foto in bianco e nero l’ho stampata più di quarant’anni fa. La passione per la fotografia e per le macchine fotografiche, comunque vadano le cose, è e resterà quella che più mi ha accompagnato nella vita. E dura ancora.
Una passione che è nata ben prima che diventassi un giornalista di questo settore – e lo sono da quasi trent’anni – e si trasformasse in un lavoro.
Dalla mia prima Kodak Instamatic – regalo di cresima del 1967 – a oggi, di macchine fotografiche ne ho avute tante. Alcune le ho ancora, altre le ho lasciate.
Quando nel 1982 comprai la mia prima Nikon, la FE, acquistai anche il 20mm Ai f/3.5 e il Micro Nikkor 55mm f/2.8, sempre Ai. Sia la Nikon FE sia questi due obiettivi, insieme ad altri obiettivi Ai, non solo ce li ho ancora, ma “cerco” di usarli appena posso: sono le mie prime vere ottiche. Attraverso le loro lenti ho fatto, su pellicola, migliaia di scatti, per passione e per lavoro. Credo e spero quindi di tenerli per sempre.
Sono “anta” ma non sufficientemente da aver vissuto il periodo della Nikon F e relative ottiche F, che ho provato occasionalmente, e che conosco come i corpi macchina e le ottiche di un momento leggendario nella storia della fotografia, l’introduzione appunto del sistema Nikon F. Era il 1959, ero già nato, ma l’unico “vetro” che potevo impugnare era quello del biberon. Quelli di polimetilmetacrilato non erano ancora stati inventati.
Ma anche se mi sono perso il magico momento della Nikon F, avere una Nikon con relative ottiche Ai negli anni 80 era comunque il sogno nel cassetto di molti: la Nikon FE costava, se comprata nuova, intorno alle cinquecentomila lire, il mio stipendio di allora. È vero che oggi una reflex digitale prosumer supera tranquillamente i 1.500 euro e che ha quindi lo stesso valore di uno stipendio medio/alto, ma negli anni 80 pensare di spendere l’intero stipendio per una macchina fotografica era visto più azzardato che sedersi a un tavolo di black jack bendati. Come è, come non è, comprai questa benedetta FE con il Micro Nikkor 55mm, un corredo ottiche, se così lo vogliamo chiamare, assai modesto, pur nell’eccellenza del Micro Nikkor, a cui aggiunsi dopo più di un anno il 20mm f/3.5 perché in quel periodo c’era la fame dei primi ultragrandangolari.
A questo punto lo spazio a disposizione per il testo di un Nikon Life termina e quindi provo ad arrivare al punto. A quella FE si sono aggiunte altre Nikon, a pellicola prima, digitali poi, e relativi obiettivi, MF prima, AF poi, ma l’accoppiata FE/Ai è sempre stata una delle mie preferite.
Così, quando l’anno scorso Nikon presentò la Nikon Df ci fu quasi da gridare al miracolo: gente come me era finalmente accontentata, potendo montare non solo le ottiche Ai – ma questo sulle digitali di Nikon non è una novità – ma anche le ottiche F. La Nikon Df però non permette solo di montare ottiche F, Ai e Ais: già altre macchine digitali di Nikon hanno permesso di montare le ottiche Ai, altre anche le ottiche F ma senza la possibilità di accoppiare il sistema esposimetrico.
La Nikon Df ha anche forme e funzionalità vintage, tradotte in ghiere dedicate attraverso le quali settare le principali impostazioni, dal sistema di esposizione agli ISO, dalla compensazione dell’esposizione al tempo di scatto, al diaframma e alla messa a fuoco manuale, naturalmente attraverso le ghiere degli obiettivi F e Ai.
Tutto diventa apparentemente più complesso ma in realtà più semplifice: non c’è la necessità di entrare a ogni piè sospinto nei menu di impostazione. Spesso l’ottica non è zoom, quindi alla fine ci si ritrova con una sola focale manual focus e tutto si riduce a uno studio più rigoroso dell’inquadratura, a una messa a fuoco manuale più selettiva, a una scelta consapevole del diaframma e relativo controllo della profondità di campo.
In una parola, si ritorna a fotografare come una volta, concentrandosi più sulla scelta del soggetto e dell’inquadratura che su affinamenti di impostazioni, passando buona parte del tempo a scrutare i menu che via via vengono richiamati sul display. Alla recente Photokina, Leica ha presentato il modello M-A, fotocamera a telemetro e soprattutto a pellicola, un segnale preciso del desiderio di molti fotografi di ritornare a scattare in modo classico. Nikon fece altrettanto se non di più nel 2004, quando in pieno boom digitale presentò l’ultima ammiraglia a pellicola, la F6.
Oggi che il digitale, pur nel suo continuo progresso, si è in un certo senso stabilizzato, sono molti gli appassionati e i fotografi che stanno cominciando a voltarsi indietro, a prendere in considerazione la tecnologia del passato come la pellicola, ma anche le focali fisse, la messa a fuoco manuale e un design nuovamente rétro. Nikon Df è tutto questo.
Della Df ho già scritto in questa eXperience a cui rimando per esigenze di spazio. Qualche settimana fa mi è stata offerta la possibilità di trascorrere un altro week end in sua compagnia e non mi sono certo lasciato scappare l’occasione. L’occasione dello shooting è stata la visita a Villa Erba (Cernobbio, Como) che passando di mano in mano è stata di proprietà di Carla Erba Visconti, madre di Luchino, che in villa passò molte settimane della sua infanzia e in tarda età ne fece il suo quartier generale in occasione del montaggio del film “Ludwig”.
Di Villa Erba scrive Visconti:
«Villa Erba è una casa che noi amiamo moltissimo. Ci riuniremo tutti là, fratelli e sorelle e sarà come al tempo in cui eravamo bambini e vivevamo all'ombra di nostra madre».
Al grido di “A morte le borse”, decido di tenere la Df al collo con un obiettivo montato, il 55mm, e di far scivolare nella tasca della giacca un'unica altra ottica, il 24mm Ai f/2.8 per fissare i grandi interni della villa.
Dopo mesi di astinenza dalla Df ritrovo immediatamente sotto le dita le ghiere di impostazione di vari comandi, dai tempi di scatto agli ISO, dalla compensazione dell’esposizione al modo di esposizione.
Per tutta la giornata non devo quasi mai entrare nel menu, se non per variare il bilanciamento del bianco. Questo, unito al fatto che devo regolare i diaframmi direttamente sull’obiettivo oltre che la messa a fuoco, da un lato mi costringe a una maggiore consapevolezza di previsualizzazione, dall’altro mi fa quasi dimenticare che la macchina non è caricata a alogenuri d’argento ma a pixel. Una gran bella sensazione.
Unica nota stonata, di cui non mi ero accorto durante il mio primo “touch & try”, è la difficoltà di focheggiare avvalendosi solo del riferimento del telemetro elettronico oltre che dello sforzo di capire su uno schermo di messa a fuoco che non nasce per la focheggiatura manuale, se la messa a fuoco è corretta o meno. Finché si scatta con un grandangolare come il 24mm, naturalmente non a distanza ravvicinata, e chiudendo il diaframma, il problema è risolto, ma con il Micro Nikkor, scattando magari quasi a tutta apertura e a distanza ravvicinata, a ogni scatto devo rivedere l’immagine per controllare la bontà del fuoco.
Fortunatamente, anche se non si tratta di accessori originali Nikon, sono reperibili schermi di messa a fuoco con microprismi e telemetro a immagine spezzata al centro. C’è perfino un modello con il telemetro a immagine spezzata a 45 gradi, il migliore da sempre e un classico di Nikon, per ovviare a questo problema.
Uscisse mai una Df S, auspico che i progettisti utilizzino uno schermo di messa a fuoco tradizionale per MF, visto che il grande plus dell'attuale Df è proprio quello di funzionare anche con le ottiche F e Ai, mantenendo attivo l’esposimetro. Avrei preferito l’esposimetro disattivato ma uno schermo di messa a fuoco tradizionale per una migliore messa a fuco al primo colpo.
Per il resto, proprio per il fatto che al menu è necessario accedere per il bilanciamento del bianco, mentre tutte gli altri principali parametri di scatto sono modificabili a mezzo ghiere, ho usato la Df proprio come se fosse una FE. L’unica differenza, oltre al fatto che ho cambiato il bilanciamento del bianco, è che ho anche cambiato più di una volta la sensibilità ISO.
Entrambe le cose sono impossibili con una macchina a pellicola. In una parola, non è certo come girare con una macchina a pellicola, ma ci si sente rilassati come ai tempi della pellicola. Mi concentro infatti sulle principali impostazioni, scelgo il momento, l’inquadratura e il taglio, valuto se esporre per le luci o per le ombre, decido quale diaframma utilizzare, ovvero se privilegiare o meno la profondità di campo e al contempo valuto se il tempo di scatto risultante è sufficiente per uno scatto a mano libera con un’ottica non stabilizzata.
Al massimo alzo gli ISO e poi scatto. Magari ho anche più probabilità di sbagliare rispetto a un sistema AF dell’ultima generazione, ma indubbiamente ho maggiore consapevolezza dello scatto.
E dopo qualche scatto, nonostante avessi al collo una reflex digitale di ultima generazione, mi sembrava di fotografare ancora con la mia vecchia e cara Nikon FE, e che tutto fosse rimasto immutato...