Kathmandu. Viaggio a Oriente.

A cura di: Paola Grassi

Kathmandu è stato il mio primo vero contatto con l’Oriente.

Con l’Oriente povero, intendo, quello della gente che vive con pochissimo e che non dà per scontata nemmeno l’acqua corrente.

Kathmandu mi colpisce subito, dritta alla mente e allo stomaco. È il periodo premonsonico e l’aria è densa di polveri sospese, di odori di ogni genere, forti e diversi, coperti a malapena dagli incensi votivi che diffondono ovunque effluvi potenti.

Nel percorso che mi conduce dall’aeroporto al centro del Thamel, la città appare come bombardata.
Macerie e mattoni sono ovunque. Poi tutto un brulicare di moto, auto, donne, bambini, animali in libertà, e il suono martellante e continuo di mille clacson, colonna sonora incessante di questa città.

 

Sono frastornata e felice. Cerco di fermare, almeno con gli occhi, le prime impressioni, quelle frutto della novità, dell’inaspettato, quelle che poi ti sfuggono perché sommerse da altre sensazioni più forti, da un avvicendarsi di stimoli prepotenti e dal desiderio di esplorare ogni anfratto di quella vita che scorre veloce davanti agli occhi.

E sono proprio gli occhi della gente che colpiscono. Profondi, sinceri e aperti.
La povertà non scalfisce il sorriso, non spegne gli sguardi, ma li accende di fiducia e speranza.

Si prega ovunque a Kathmandu. Nei piccoli atri, negli angoli delle strade, nei vicoli nascosti. Inaspettatamente, mani segnate dal tempo si giungono in preghiera.

La luce delle candele tremolanti illumina espressioni intense e veneranti davanti a icone ricoperte da polveri di mille colori. Cosparse di semi e di fiori.
Si offre di tutto, ma soprattutto amore.

Namasté.


Ascolto e ricambio con gioia quel saluto, intriso di profonda spiritualità e devozione.

Namasté alle giovani avvolte nei sari dai colori sgargianti.
Namasté alle anziane con il viso solcato dal tempo che annodano collane di fiori.
Namasté ai monaci e alla gente comune che sfiora con le mani le ruote di preghiera.
Namasté ai bimbi dagli occhi dolci e penetranti e dal sorriso luminoso.

Tutta questa vita non può non entrarti nel cuore.
E scatto per ricordare esattamente questi colori, queste emozioni, i contrasti tra il bianco abbagliante della grande stupa circolare e il buio caotico dei vicoli.

E vorrei che ogni immagine raccontasse…a lungo.

Di rosari sgranati piano in attesa del sorgere dell’alba.
Di bandiere di stoffa, consumate e sbiadite, che suggeriscono intere esistenze.
Del vociare allegro dei bimbi nelle strade.
Del corpo dell’amato che scompare avvolto dalle acque del fiume sacro.
 

Vorrei che le immagini spiegassero come tutto sia un dono, non solo la vita e la luce, ma gli oggetti del vivere quotidiano, i frutti colorati, i tessuti accuratamente ripiegati accanto allo scorrere indistinguibile della vita di ognuno.
Si scorge vita in ogni cosa, passi veloci che si affrettano verso realtà che si immaginano, oggetti umili che diventano protagonisti, lo scorrere del tempo che si incide sulle mura...e poi la luce...calda, morbida, che accarezza corpi e sguardi, che tesse trame tra i rami degli alberi, che lambisce e abbraccia sino all'ultimo momento quel corpo per l'ultima volta, e che si congeda, al tramonto, nei bagliori riflessi su un fiore reciso, destinato ad appassire, ma che ancora esplode di colore.

Ed è davanti a tutto questo che finisco col non vedere più la povertà.
E il mantra delle preghiere copre ogni cosa, ogni rumore, ogni clacson assordante.

Per tutto quanto descritto, devo ringraziare la perfetta organizzazione di Fotografia e Viaggi e del Master Jordi Ferrando Y Arrufat.
È raro poter trovare una guida come Jordi e un supporto come quello di FeV.
Con loro si viaggia e si cresce. Grazie.

ATTREZZATURE UTILIZZATE:
• Nikon D700
• Nikon D800
• Nikon 24-70 f2.8
• Nikon 16-35 f4.0
• Nikon 85 f1.8
• Nikon 70-300 VR

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