Kathmandu e la sua valle. Nepal

A cura di: Piero D'Orto

Fiumi, meglio mari di parole servirebbero per descrivere un mondo a parte come quello che si apre al fotografo in una città come Kathmandu. E non bastano se si va oltre la città. Se, come nel caso di questo viaggio, si decide di dedicare il tempo a vagare lentamente in questa valle, tra i suoi villaggi, a casa della gente, tra i campi di riso e tra le baracche dei sopravvissuti al terremoto del 2015.

Sorrisi, fede, offerte, divinità, ricostruzione e macerie, disperazione ed ancora sorrisi, contrasti, incredibili contrasti ed ancora sorrisi.

In una quotidianità di una semplicità disarmante, che quasi segue il ritmo del sole, poco prima dell'alba le città si animano e si trasformano in un infinito mercato, tutti vendono di tutto e dappertutto. Un brulicare umano che frastorna l'osservatore occidentale.

Traffico e polvere che ti costringono a coprirti il viso, colori che sembrano ritoccati con photoshop tanto sono forti ed accesi, a volte addirittura surreali. Polvere, caos, ingorghi, attraversare da un lato all'altro della strada a volte è un'impresa, clacson in concerto, moto e motorini che ti sfiorano e si sfiorano tra loro, gente che ti sorride pur non capendo perchè tutto questo ti sembra strano. È Kathmandu, non c'è niente di strano. Semmai diventa strano, ma solo per noi, entrare in una porticina laterale e vedere tutto questo indescrivibile casino trasformarsi nella serenità più assoluta.

Non si capisce, non si può capire, quattro metri più indietro non potevamo nemmeno decidere la direzione da prendere, trasportati dalla massa umana in movimento ed ora mi ritrovo nel cortile di un tempio, un tempietto, non quelli che si devono visitare per forza perchè sei in Nepal, un tempio come ce ne sono ogni venti metri, a volte si chiamano tempi a volte stupa, a volte hanno forma a pagoda, altre a semisfera, altre ancora sembrano obelischi, a volte buddisti altre induisti ma non importa, qui tutti pregano e portano le loro offerte alle divinità. E non importa nemmeno se sei buddista o induista, nessuno qui, buddista o induista si sognerebbe di saltare i festeggiamenti dell'altra religione, spesso gli stessi spazi sono condivisi per le offerte e la preghiera. E ci si ritrova quindi a passare da un girone infernale al giardino dell'Eden nello spazio di pochi passi, venti secondi prima non ragionavi neppure, inebriato da quello stato di assoluta confusione ed ora sei li a far girare una ruota di preghiera rigorosamente in senso orario godendo del profumo di incenso che riempie quell'aria diventata improvvisamente mistica.

Ma che stiamo facendo? non sono nè induista nè buddista nè altro, ma quasi inconsapevolmete ci si cala nella realtà del posto, che importa se un santone ci ha appena applicato una tica sulla fronte (è quel segno rosso, simbolo induista), sono davanti ad una stupa buddista ed accarezzo le ruote di preghiera, per suonare poi una campana davanti ad una statua induista e far sapere alle divinità che ... ci sono.

Si torna nel caos cittadino, sia accendono le luci della sera. Non c'è più il blackout programmato, luci accese dappertutto, cinque anni fa non era così gli alberghi dovevano accendere i generatori perchè la corrente veniva staccata, qualcosa sta cambiando. Mi sono addirittura imbattuto in cestini colorati per la raccolta differenziata e la città è effettivamente più pulita, diciamo meno sporca. Qualcosa sta cambiando, ci sono più ragazze in abiti occidentali e tutti, tutti ma proprio tutti, hanno il telefono, una signora lo sta usando mentre con una gerla che poggia sulla fronte, le stanno caricando chili e chili di sassi sulla schiena che dovrà trasportare fino al palazzo in ricostruzione.

Kathmandu non si può spiegare, ci provo con le foto ma non si può spiegare. E non si può spiegare neppure la sua valle, i suoi villaggi, la gente che ci vive e ci lavora. Fuori dalla città siamo catapultati in un mondo ancora diverso, rurale certo, fondato sul riso. credo anzi che i tempi qui siano scanditi proprio da questa semplice ricchezza, mi è capitato di essere in Nepal in diverse stagioni con i campi allagati, durante la preparazione ed ora a raccolto ultimato o quasi, donne e uomini, ma soprattutto donne, che lavorano assiduamente però con una calma e serenità tutta particolare, ancora, sempre, col sorriso.

Un sorriso che invece, purtroppo, non ho trovato se non con un velo di rassegnazione, in alcune famiglie colpite duramente dal devastante terremoto che a distanza di tre anni le costringe ancora ad una vita oltre i limiti della sopportabilità, sotto lamiere piegate che chiamiamo ottimisticamente baracche. Un sorriso in questi casi cancellato e spazzato via da anni ormai. Duemila metri di altitudine in Nepal sono considerati collina, ma fa lo stesso freddo dei nostri duemila metri, in questo periodo (Ottobre/Novembre) trenta gradi di giorno e zero di notte. Una lamiera, chiamiamola baracca, fuori accovacciato un uomo, dentro una donna, ma a diciott'anni è donna? Comunque mamma e bambino, hanno la febbre, semplice influenza. Semplice per noi forse, In Nepal tutto si paga, sanità compresa e niente è quindi tanto semplice. Non c'è davvero niente da sorridere. Ed infatti esco profondamente provato da quella baracca. Ma devo vedere, capire come si vive in questi villaggi ed allora mi faccio invitare da un'altra famiglia ed entro in quest'altra abitazione risparmiata dalle scosse.

Entro abbassandomi per non sbattere la testa, le porte sono tutte basse non perchè come si crede comunemente i nepalesi non siano alti di statura ma perchè devi inchinarti per una forma di rispetto. Poi entro in altre ancora incontrando persone di una gentilezza estrema. Si cucina per terra, senza un vero e proprio pavimento, sulla terra battuta, si sta accovacciati o comunque piegati per cucinare, per mangiare, per riposare, per lavare i panni e le stoviglie, per fumare, i soffitti bassissimi, devi accovacciarti quasi per forza. Tornano i sorrisi, forse più amari rispetto alla città ma pur sempre sorrisi. Non capiterà loro certo spesso di trovarsi in casa qualcuno che ti fotografa mentre stai facendo le cose più normali della giornata, ma la sensazione è che ci si faccia fotografare con fierezza. Donne, vecchi, bambini un classico per la fotografia di viaggio insomma ma a questo giro un classico vissuto dentro le loro case, dentro i loro negozi, dentro le loro cucine, certo, per noi è pazzesco ma... è Kathmandu. Un classico. Dentro un classico.


Metodi di pagamento: