Istanbul

A cura di: Pietro Sferrino

Istanbul è una città senza fine! O che finisce là dove finisce la Turchia. Tutta, o quasi tutta, la Turchia ci sta dentro. Da sempre Caput Mundi e in sé stessa "impero" e "gloria a Dio", Istanbul, però, non conserva le manie di grandezza e l'arroganza fanatica degli imperi. Istanbul è una città gentile. Laica e insieme musulmana, e insieme gnostica, e insieme molto, molto altro. Una città antica e al contempo moderna e... serena.


È proprio vero che il “Nikon Style of Life” può entrarti dentro e diventare parte del tuo essere. Io sono sempre stato, sono e sarò semplicemente un viaggiatore. Negli ultimi anni però, sono diventato un viaggiatore-fotografo. Ed eccomi, ancora una volta, in partenza da Istanbul.
Mi sono fermato qui una settimana, né è stata questa la mia prima visita! Mi piace questa città. Ma questa volta la sfida è stata più “intensa”. Per molti Istanbul è la città perfetta per fare fotografie. E obiettivamente è così.
Dopo tanto visitarla però, e avendo instaurato con la stessa una relazione diversa da quella occasionale, alcune cose sono risultate più difficili.
Questa volta, in città, non ero un fotografo a caccia dell’attimo fuggente. Cercavo di fare meglio di quanto fatto in passato. È stato difficile, perché stavo lì ad aspettare la luce, sperando che fosse migliore di quella con cui avevo già fotografato e non prestavo attenzione ad altro.
 



 

Ho scoperto un modo nuovo di fare fotografia, non essendo abituato a fotografare ciò che già conosco. Tanto più che dopo una settimana di tempo banale e scialbo, aspettare la luce giusta è come essere un contadino che aspetta la pioggia dopo una lunga siccità. Ma che sia la pioggia giusta, quella buona. Che dia un vino migliore di quello precedente. Una cosa difficile! Non cerchi l’istante quando sei in questo stato d’animo. Non cerchi nemmeno l’istante giusto… Cerchi quello migliore di quelli già passati. Diventa un’ossessione.

In ogni caso, è vero al di là di ogni dubbio: questa è una città che offre sempre nuove sfide. E di cui tutto sommato, non è proprio facile stancarsi. Una città dove tornerò non appena potrò. Questa volta, per esempio, mi sono accorto di quanto Istanbul sia da vivere “piano”. Ero sempre stato qua di sfuggita, per uno o due giorni da vivere al volo. Anche nei paesi arabi in effetti è così. Anche nei paesi poveri di quel che un tempo si chiamava “Terzo Mondo” è così! Benché grande sia la confusione sotto il cielo delle loro immense città… c’è lentezza, persa nella confusione che inesorabile scorre.

La città è impossibile da conoscere per davvero. Ogni singolo rione è enorme. Ritrovare un posto conosciuto in Balat è un’impresa. Ad ogni angolo c’è un colore o una forma che andrebbe carpita. Nella sua immensità, non solo geografica, Istanbul può disorientare chiunque.
In questo preciso periodo poi la città è in preda a una ristrutturazione totale. Andare ora equivale a trovare un cantiere a cielo aperto. Lo scorso anno è stata Capitale Europea della Cultura. Ha raccolto fondi e ora si fa più bella. Dai luoghi più turistici come la moschea Sultan Ahmet o il Palazzo Topkapi, fino alle strade di Balat, tutto è un lavorio senza fine.
 

Oltre alla parte che tutti conoscono, è al di là di essa che Istanbul si scopre davvero come una gitana provocante ma difficile da cogliere. Dopo aver visitato la città “turistica” e “storica”, la “Costantinopoli”, concedetevi un tuffo al di là dell’evidenza. Basta forse vedere la Basilica di Aya Sophia per capire cosa è stato il passaggio da Costantino a Istanbul. Ma ciò non basta per capire fino in fondo.

Istanbul è una città senza fine! O che finisce là dove finisce la Turchia. Tutta, o quasi tutta, la Turchia ci sta dentro. Da sempre Caput Mundi e in sé stessa "impero" e "gloria a Dio", Istanbul, però, non conserva le manie di grandezza e l'arroganza fanatica degli imperi. Istanbul è una città gentile. Laica e insieme musulmana, e insieme gnostica, e insieme molto, molto altro. Una città antica e al contempo moderna e... serena.


Se visiterete le sue parti più estreme, vi accorgerete, studiandola a fondo, di come Istanbul in realtà si fonda e coincida in definitiva con l'intera Turchia. Vi basterà prendere il vaporetto che sale lungo il Bosforo, ben oltre la ricca baia di Bebek e oltre Kandilli, su verso il Mar Nero, o giù verso le isole nel Mar di Marmara dove i Turchi passano le calde giornate estive. Dopo tutto, quasi un quarto della popolazione turca vive in questo angolino di Turchia. È un micromondo, con al suo interno ogni parte di quello che è la Turchia stessa.
Certo, dirai tu, caro lettore: “anche Milano è un micromondo in cui vivono siciliani e pugliesi, e cinesi e arabi. Così Roma e Torino”. È vero. Ma Istanbul è cinque volte più grande e le proporzioni contano. Anche là sarà facile trovare ragazzi e ragazze del Lago di Van o di Bursa, e allo stesso tempo la stessa atmosfera di altre parti di Turchia. Le proporzioni fanno sì che il tutto sia ancora più mescolato: la gente e gli stili di vita.

Chiunque vada a Istanbul vedrà Piazza Taksim e İstiklâl Caddesi (da leggere “giaddesì”) ma basterà scendere un po’ sulla sinistra per ritrovare una piccola Montmartre in versione turca fra le viuzze di Gihàngir (nel moderno distretto di Beyoglu). Visitare poi i “quartieri occidentali” di Fener, Fatih, Balat o la parte asiatica, oltre Kadıköy, vi aprirà le porte alla Istanbul meno occidentalizzata e più profonda, non lontana tutto sommato dalle povere baracche di Ulùs, ad Ankara, o dalla mistica città di Konya dove nacque il sufismo. Un micromondo!
Un Islam più chiuso a Okmeydani o nei pericolosi vicoli di Tarlabashi (dove non conviene addentrarsi), uno più laico e colto a Eyüp Sultan o un mondo di ragazzi festaioli e ballerini nella Istanbul underground fatta di ragazze in minigonna e dalle movenze più che sensuali. Un enorme micromondo nel quale non è difficile smarrirsi, ma nemmeno addentrarsi con un filo di lana per tornare poi e ritrovare la strada.
 

Alcune delle foto che ho incluso in questo Nikon Life sono state fatte nei viaggi precedenti, come per esempio quella in cui è raffiguratala la Moschea di Ortaköy con alle spalle il ponte sul Bosforo che unisce Europa e Asia. Ora è chiusa in una scatola colorata perché in ristrutturazione, ma è un monumento alla bellezza che nessuno dovrebbe perdersi. Così anche per l’edificio angolare di Balat, un angolo di Istanbul ormai perso perché ristrutturato (credo) da privati che non hanno badato alla conservazione ma a ricostruire una struttura in cemento poco paragonabile all’originale. Sarebbe stato opportuno, forse, fare più attenzione.

Se visitate Istanbul, apprezzatene la “semplicità” e la “gentilezza” intrinseca. Osservate come la gente che a tratti potrà apparirvi burbera, si scioglierà in un sorriso cordiale a ogni vostro cenno di gentilezza.


Leggete magari Orhan Pamuk, prima di partire. O il grandissimo Nazim Hikmet… Se lo farete, vi sembrerà, a ogni passo, di averli vicini. Persino in ogni scatto vi parrà di metterci questi due autori. Così almeno è per me.
Andare a Istanbul, per me significa ricercare il ritratto perfetto di Sekure, di Ipek e Kadife. Significa trovare Ka e Blu e Nero. O anche rivivere la nostalgia di Nazim che scrive le Lettere dal carcere a Munevver.
 

Io tornerò nella mia cara Istanbul. Tanta bellezza, intrinseca, nascosta, da me non è ancora stata carpita del tutto. Ho voglia di più “consapevolezza”.

Così auguro a chi di voi ci andrà di essere altrettanto consapevole quando, per esempio, sarà sul traghetto che da Eminönü (la costa sul corno d’oro della Istanbul Europea) vi porterà fino a Üsküdar o a Kadıköy donandovi un tramonto mozzafiato di Costantinopoli al suono dei gabbiani che mangiano il “simìt” (il classico pane a forma di ciambella ricolma di sesamo) lasciato loro dai viaggiatori che vi hanno preceduto. E capirete almeno in parte, almeno per come possiamo capirlo noi che a Istanbul non apparteniamo… in che modo Hikmet poteva scrivere alla sua donna: «Ti amo come qualcosa che si muove in me quando il crepuscolo scende su Istanbul, poco a poco. Ti amo come se dicessi: Dio sia lodato, sono vivo!».

 

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