Il reportage descrive per immagini la situazione in cui versava Genova all'indomani dell'alluvione dello scorso 9 ottobre 2014. Episodio a cui purtroppo se sarebbe seguito un altro...
“macaia scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia…
e intanto nell’ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali”
Così è descritto nella canzone di Paolo Conte “Genova per noi”. Versi, sotto un certo aspetto anche veritieri, se si pensa che tutto il territorio ligure, ogni anno, nei mesi di ottobre e novembre, è colpito da forti temporali.
Ero un bambino quando, il 7 ottobre 1970, ci fu la terribile alluvione che colpì la città. Ancora impresso nei miei ricordi vi è il torrente Bisagno che, già in periferia, scorreva minaccioso.
Genova, città di mare e vicoli stretti fatti di lunghe salite e discese verso le colline, città dove il verde dei giardini e il nero dei tetti d’ardesia fanno parte di essa. Città non più contenuta dalle mura ma che, negli anni, ha espanso disordinatamente il proprio agglomerato urbano. Questo, purtroppo, è periodicamente flagellato da violenti piogge e conseguenti piene dei molti torrenti.
23 settembre 1993, 4 novembre 2011, 9 ottobre 2014, 15 novembre 2014: queste le date più recenti in cui la città si è trovata di nuovo in ginocchio.
9 ottobre 2014, sono le 21 quando, un temporale senza sosta, continua fino alle 24. Straripano il Bisagno, lo Sturla, il Rio Fereggiano e lo Scrivia. Migliaia di metri cubi d’acqua invadono la città.
Una notte di paura e di incubo. Colpite infrastrutture, abitazioni, strutture pubbliche e tante, tante attività commerciali delle quali, molte, non apriranno più.
Alle prime luci dell’alba la città ha cambiato aspetto, luce, quasi fosse stata dipinta con un colore ricavato da una miscela di terra e acqua.
Dopo il diluvio, però, nelle zone colpite, armati di tanta buona volontà, arrivano in migliaia, tra ragazzi e ragazze, giovani e meno giovani, ad aiutare i genovesi colpiti dalla tragedia a pulire tutte le aree sommerse dalla melma e dai detriti: gli “angeli del fango” (espressione che nacque a seguito dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, dove migliaia di giovani volontari giunsero nella città toscana per aiutare le popolazioni colpite salvandole dal fango).
In ogni quartiere della città erano presenti centinaia di ragazzi senza identità, nascosti da una maschera di fango, impegnati in un lavoro senza sosta dando prova di grande altruismo e solidarietà.
Da qui la decisione di fare una cosa per me non consueta: fotografare una tragedia, documentare con i miei scatti, dopo l’alluvione, il cuore spezzato della città. Un piccolo reportage con i ragazzi tra le mura di una città immersa nel fango.
Passare nelle zone colpite, attraversare marciapiedi che non sembravano più tali, camminare in mezzo a tutti quei ragazzi infangati, armati solo di stivali di gomma e pale, è stato come vivere un’altra realtà. Tutto sembrava irreale e surreale ma, al tempo stesso, la determinazione di quegli stessi ragazzi, il loro sudore e la loro grande forza di volontà, hanno palesato ai miei occhi e quindi attraverso il percorso fotografico che ho realizzato la cruda e drammatica realtà di una tragedia che ha devastato per l’ennesima volta tante vite e una città troppe volte messa in ginocchio, Genova.
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