A cura Paolo Petrignani / Team LaVenta
Nell'immaginario collettivo le isole sono da sempre luoghi misteriosi e fatti per essere esplorati; su questo argomento è stata composta moltissima letteratura che ci ha descritto posti lontani, pieni di fascino, che invogliano i lettori a viaggiare, anche soltanto con la mente; in tanti con la fantasia, sono sbarcati veramente su quelle isole. Chi non conosce l'isola del Tesoro di Stevenson, I Tigrotti di Mompracem di Salgari, L'isola Misteriosa di Verne oppure le avventure di Robinson Crusoe di Defoe etc. Chi non ha mai pensato (specialmente negli ultimi tempi) di scappare via dal “logorio della vita moderna” e ha detto,“vorrei fuggire su isola deserta”? Una delle attrazioni delle isole è la grotta: non esistono isole (esclusi forse solo gli atolli corallini) che non ne abbiano e, piccole o grandi che siano, sono sempre da visitare ed ammirare. Proprio lì, nel profondo della terra, dove non arrivano satelliti e GPS, dove i “telefonini” non hanno possibilità di “prendere”, dove le dimensioni spaziotempo sono del tutto relative, le grotte assumono un fascino misterioso ed evocativo e l'esplorazione sotterranea, unita al richiamo di una terra lontana circondata dal mare, diventa l'ultima frontiera dell'esplorazione.
Pensare all'arcipelago delle Filippine, in noi del Team LaVenta, ha subito suscitato una attrazione fortissima e Palawan è diventato proprio questo, un'attrazione dalla quale non siamo riusciti più a liberarci. Dal momento dei primi studi sulle mappe fino al momento in cui siamo “sbarcati” nel piccolo aeroporto di Puerto Princesa, è stato un susseguirsi di emozioni. Circondata da bellissime barriere coralline, l'isola è ricoperta da una folta foresta pluviale primaria caratterizzata da giganteschi alberi che lambiscono il mare, abitata da macachi (gli unici primati presenti), da Varani (le grandi “lucertole”) lunghi più due metri e da una grandissima varietà di specie di uccelli, molti dei quali endemici. Ma il fatto che sia un piccolo paradiso, non è l'unico motivo delle nostre emozioni. Per noi speleologi la vera attrazione è il Subterranean River, una grotta fantastica veramente unica, in certi punti cosi grande da poter far entrare un'autostrada a 4 corsie. Un fiume sotterraneo che si allunga all'interno del monte St Paul, il tutto inserito in un meraviglioso parco marino che, dal 1998, è Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Anche se sono già state fatte numerose esplorazioni, la sua estensione ed il suo ecosistema sono in gran parte sconosciuti e c'è ancora molto da esplorare al suo interno: l'eccezionalità di questa grotta risiede soprattutto nella sua biologia. Essendo Subterranean River un estuario, al suo interno si crea l'incontro tra l'acqua dolce del fiume che arriva dalla montagna (essendo più leggera scorre in superficie) e quella salata che entra dal mare (essendo più densa scorre più in basso). Il fiume è influenzato dalle maree esterne che penetrando nella grotta per 6 chilometri, danno origine ad uno scambio continuo di sostanze nutritive fondamentali senza le quali la catena alimentare della grotta si interromperebbe. Risaliamo il fiume con delle piccole canoe, e già a pochi metri dall'ingresso il buio ci avvolge ed è necessario accendere le lampade, sia quelle poste sui caschi sia i fari utilizzati per guidare la navigazione. Il silenzio domina ed è rotto soltanto dallo stillicidio che arriva dalla volta della grotta e dal remo che con colpi ritmati fende l'acqua del Subterranean River. L'esplorazione della grotta toglie il respiro e la luce rivela forme incredibili: le lampade illuminano camere altissime, saloni enormi nei quali si potrebbero accomodare cattedrali tra le più grandi, che poi si alternano a cunicoli talmente bassi da dover chinare la testa per non urtare contro il soffitto. Ci sono mille metri di roccia massiccia sopra di noi, una roccia che da migliaia e migliaia di anni viene scavata dal'acqua, che, come uno scultore che lavora il suo blocco di marmo, in maniera delicata, ma anche violenta, penetra nelle più piccole fenditure, allargando, levigando, asportando, sciogliendo tutto ciò che non serve, realizzando forme e sculture di rara bellezza.
Ad un certo punto la galleria si allarga e d'improvviso si apre davanti ai nostri occhi una enorme sala, chiamata appunto la “Cattedrale”; scendiamo su una riva con il fango scivolosissimo che rallenta i nostri movimenti e, ponendo attenzione a non cadere in acqua, facciamo un passamano per trasportare sulla terra ferma tutta l'attrezzatura. Con l'aiuto delle nostre lampade tutta questa parte di mondo prende vita e ci rendiamo conto di quanto sia popolato l'interno di una grotta. La luce mette in movimento le numerose migali, ragni della famiglia delle tarantole, grandi quanto il palmo di una mano, e capaci di cibarsi anche delle “salangane”, i rondoni della specie Collocaliafuciphaga che, insieme ai pipistrelli, abitano la grotta. Le salangane, infatti volteggiando nella oscurità tra le stalattiti, molte volte colpiscono le pareti e, cadendo sul terreno, finiscono facile preda dei ragni. Come accennato in precedenza, i rondoni, insieme ai pipistrelli, sono i chiassosi abitanti di questa grotta ed infatti, per orientarsi nelle tenebre, usano un sistema di orientamento simile al radar, come i pipistrelli, per intenderci; emettono dei suoni simili ai “cicalini” (quei piccoli strumenti con i quali ci si diverte da bambini) ed ascoltano l'eco di ritorno: cosi facendo riescono a volare completamente al buio tra i mille anfratti della grotta. Il loro strepitio diventa assordante quando la sera tornano a migliaia per dormire nei loro nidi. I biologi del parco stimano che il Subterranean River ospiti almeno 60000 rondoni. Avanziamo con cautela tra le tane delle migali fino a scovare degli Amblipigi, artropodi simili a scorpioni, ma senza la famosa coda. Se ne incontrano di veramente grandi, lunghi anche svariati centimetri, caratterizzati da un enorme paio di tenaglie frontali che usano per catturare le prede; questa caratteristica fa sì che, nonostante siano totalmente innocui, il loro aspetto diventi minaccioso. Più nascosta troviamo anche una scolopendra, ovvero un centopiedi dalle lunghe ed esili zampe che corre veloce sul terreno sconnesso: questo insetto invece non è inoffensivo ed il suo morso può anche essere doloroso (dipende dalla grandezza dell'animale). Lasciato questo piccolo zoo riprendiamo la navigazione.
La canoa scivola veloce e dove il fiume si fa più profondo, all'improvviso, una magnifica galleria rettilinea con la sezione squadrata, lunga più di 400 mt, si apre ai nostri occhi: è l' “autostrada di Dio” (God's Highway). La natura ha fatto, anche in questo caso, un lavoro eccezionale e davvero perfetto. In questo caso dovevamo realizzare una foto che potesse dare l'idea del posto e insieme l'idea dell'esplorazione. Subito ci siamo scontrati con le difficoltà dettate dalle pareti perfettamente lisce e dalla totale mancanza di approdi. Impossibile bloccare la canoa.
Sulla canoa io, un assistente e il rematore che, con grande difficoltà, cercava in tutti modi di tenere in asse la canoa, per non farci portar via dalla corrente: fotografare in queste condizioni, devo riconoscerlo, non è stato facile anche perché, dopo tutte le difficoltà affrontate per realizzare lo scatto, ad un certo punto fuori ha iniziato a piovere e per via dei compartimenti comunicanti della grotta, l'acqua ha iniziato a scorrere sulla D300. Da prima solo un piccolo stillicidio, poche gocce che con un panno asciugavo rapidamente, ma poi l'acqua ha iniziato a scorrere sempre più forte fino a diventare un vero e proprio rivolo che ha determinato immediatamente la fine delle riprese. Nonostante questo diluvio, le guarnizioni hanno retto e la D300 ha continuato a funzionare perfettamente. Risaliamo, nei giorni seguenti, per un ramo laterale e superiamo una strettoia piena di fango, il che ci fa pensare che nei momenti di piena del fiume questi posti sono invasi dall'acqua: sarebbe la fine se una piena improvvisa ci cogliesse proprio facendo questo passaggio. Comunque proseguiamo e un cinquantina di metri più avanti l'ambiente, da angusto e fangoso, diventa all'improvviso un enorme salone. Cerchiamo di illuminare e portare la luce fino al soffitto, stimiamo sia alto circa 50-60 metri. Troviamo un passaggio tra giganteschi massi di crollo e a fatica ci spostiamo più in alto: vogliamo raggiungere un passaggio che si trova a circa 100 metri da noi. Pensiamo sia l'ingresso di un altro enorme salone dove si radunano i pipistrelli. Alla fine arriviamo e per un attimo rimaniamo a bocca aperta: la luce illumina la volta della sala e migliaia e migliaia di pipistrelli prendono forma. La roccia quasi non si vede per il gran numero di animali; cerco di avvicinarmi senza far rumore, realizzo qualche scatto, ma sono molto timidi e si spostano da una parte all'altra. Lasciamo questo ramo del fiume e, a ritroso, guadagniamo l'uscita.
Il giorno successivo siamo di nuovo lì: rapidamente raggiungiamo il punto dell'ultima esplorazione e da lì proseguiamo fotografando altre bellissime parti del Subterranean River. Muoversi in una grotta con un fiume al suo interno è tra le cose più complicate per l'attrezzatura fotografica: il fango e l'acqua, per di più salmastra, sono un nemico micidiale e tutto viaggia all'interno di valigie stagne (con qualsiasi altra borsa in caso di caduta in acqua le attrezzature non avrebbero scampo).
Da Rockpilesi si prosegue a piedi per altri tre chilometri, poi la galleria termina sotto un grande portale, il DaylightHole, un gigantesco ingresso alto più di 100 metri al quale si arriva anche dal versante opposto del monte St Paul. Infatti l'esplorazione non avviene solo nel Subterranean River, ma per scoprire nuovi rami e gli ingressi alti del complesso carsico, le esplorazioni proseguono anche all'esterno. Ci dividiamo in squadre e iniziamo a perlustrare le pendici del monte St Paul, attraversando le risaie a terrazze ed addentrandoci nella folta foresta, che diventa sempre più intricata; man mano che avanziamo, inizia a piovere e di lì a poco il terreno diventa difficile e scivoloso, lame e pinnacoli di roccia tagliente si aprono alla nostra vista: il terreno a Karren è tra le superfici più pericolose da percorrere, specialmente quando piove. In alcuni punti ci troviamo di fronte a passaggi verticali a strapiombo e siamo costretti a mettere una corda di sicura per poter avanzare. Ci fermiamo per riprendere fiato e ci accorgiamo che abbiamo sanguisughe attaccate su tutto il corpo: le sanguisughe penetrano attraverso camice e pantaloni e arrivano dovunque. Il terreno è veramente “inavvicinabile”… si fanno poche centinaia di metri al giorno. Alla fine dobbiamo rinunciare e portare l'esplorazione in un altro lato della montagna. Mentre stiamo tornando al campo, alla radio giunge la notizia che un'altra squadra ha trovato un ingresso alto che sembra proseguire. La news ci mette euforia e non sappiamo dove ci potrebbe portare la nuova scoperta, ma riteniamo che, con un po' di fortuna, la risposta sia “diretti al Subterranean River”. Siamo contenti perché questo significa che l'esplorazione continuerà, in un'altra occasione: torneremo di sicuro per trovare nuove gallerie e per capire meglio il funzionamento di questo bellissimo e complesso sistema carsico. Questo fiume non finirà mai di stupirci e ad ogni viaggio scopriremo cose nuove, passaggi che ci permetteranno di fare nuovi percorsi e di aggiungere sempre nuove tessere a questo grandioso mosaico che pian piano stiamo componendo. L'isola anche questa volta ci ha fatto sognare e, anche se continuerà a nascondere i sui tesori migliori, diventerà sempre meno misteriosa!
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