A 150 metri di altitudine (s.l.E.)

A cura di: Gerardo Bonomo, Missione Over Everest

Missione Over Everest
di Gerardo Bonomo

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Cosa non si fa per un bel backstage…

Sì di solito le quote si scrivono in metri seguite da: slm, che sta a significare "sul livello del mare", ma qui,a che se la quota è apparentemente da pianura, è quella E che ci deve far riflettere: E infatti non sta per "mare" ma per Everest; quindi 150 s.l.E significa nel caso nostro che qualcuno ha sorvolato la cima dell'Everest superandola sulla verticale di 150 metri ed entrando così immediatamente nella leggenda come l'uomo che, in volo libero, ha "quasi" raggiunto i 10.000 metri di quota.

Quando, alcune settimane fa, avevamo dato notizia di questa sfida su questo sito, non dubitavamo certo del buon esito dell'impresa ma, adesso che la missione si è felicemente conclusa – ed è stata felicemente documentata – non siamo più nel campo delle ipotesi ma delle certezze.

Non ci addentreremo più di tanto nel diario della missione il cui esito nella realtà è stato più volte minacciato da eventi esterni imponderabili come la situazione meteorologica.
Riassumiamo qui in poche righe il doppio scopo della missione OverEverest: la trasvolata della cima dell'Everest appesi a una sottile quanto fantascientifica ala a sua volta appesa alle correnti ascensionali e la reintroduzione di una coppia di aquile Nepalensis nella vallata del Khumbu, dove da tempo sono estinte.

 

 

 

 

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Sopra a D’Arrigo è visibile una delle due Coolpix usate durante il volo

Il deltaplano libero con cui Angelo D'Arrigo (la terza aquila, meglio, la prima) ha sfidato l'impossibile è frutto di una sinergia fra diverse aziende e centri di collaudo. Lui stesso è stato collaudato sia in camera iperbarica – grazie all'Aeronautica Militare Italiana) che attraverso la galleria del vento della Fiat.

Ma quello che a noi stava più a cuore, tecnicamente parlando, era la risposta delle due fotocamere Coolpix 5400 che, imbragate sul deltaplano insieme ad Angelo D'Arrigo avevano il compito di immortalare visivamente ed oggettivamente la missione, lavorando a 50 gradi sottozero e a velocità superiori ai 130 chilometri orari.

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Si scaricano e si masterizzano gli scatti della giornata

La sfida di Angelo (fotograficamente parlando) è stata raccolta da Spin360: l'agenzia che ha progettato e realizzato lo speciale sistema fotografico.
Livio Bourbon, fotografo ufficiale della spedizione, Andrea Brambilla che ha coordinato il tutto da Milano e Enrico Paronuzzi Ticco, che si è occupato della parte hardware della parte fotografica dell'impresa, ci ha raccontato dei supplizi a cui sono state sottoposto le Coolpix 5400.

Le due Coolpix – che all'inizio erano tre ma per problemi di peso sono poi state ridotte a due – semplicemente avvolte in un particolare tessuto ma non a tenuta stagna, hanno quindi sfidato escursioni termiche e pericoli di condensa da far rabbrividire una Nikonos, senza però mai sbagliare un colpo.
Le due Coolpix erano così settate: la prima montava il paraluce HN-CP10 sul cui attacco filettato era montato un filtro UV, la seconda invece montava un converter grandangolare WC-E80 con adattatore UR. La nota piacevole/dolente del converter grandangolare verificata dai tecnici di Spin 360° che si sono occupati della preparazione delle macchine e degli scatti fotografici da terra è che la Coolpix 5400 è talmente leggera che il WC-E80 ne raddoppiava letteralmente il peso e in un genere di volo così estremo si limano anche i grammi per rendere l'ascensione e il volo più agevole. Entrambe le macchine erano alimentate da un pacco batterie esterno protetto naturalmente dalle bassissime temperature che sono state raggiunte. Le macchine erano settate su priorità di diaframmi con diaframma impostata su f/7.1, e un bracketing di 3 scatti di +/- 0.7 stop con una sottoesposizione intenzionale di –0.3 stop. La messa a fuoco era regolata su AF con selezione spot sull'area centrale mentre gli ISO erano fissi a 50.
Le Coolpix hanno lavorato su CF Sandisk Ultra II da 1 Gigabyte: in aria sono state scattate 120 foto che, unitamente al bracketing hanno portato il bottino aereo a 360 scatti.

Usando una Coolpix 5400 come carrello d'atterraggio

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Digiuni di costumi e di religioni orientali, ci possiamo chiedere se qualcuno non sta recitando un rosario di preghiere per la
Coolpix in secondo piano…

E' stato sicuramente l'evento più a rischio per la macchina e forse uno dei test più severi quanto involontari a cui sia mai stata sottoposta una Coolpix: durante uno degli innumerevoli voli di prova D'Arrigo ha subito quello che in gergo viene definito "atterraggio tecnico" e nella realtà una "quasi caduta" dal cielo: il deltaplano ha infatti atterrato a 80 chilometri allora imbardandosi immediatamente fino a che la parte terminale dell'ala, dove era posizionata una delle due Coolpix, non ha sbattuto su terreno e detriti rocciosi: una soffiata e la macchina ha continuato a funzionare come su nulla fosse accaduto!!!
A terra la missione è stata seguita attraverso i mirini di una D100, una D1X e una D2H con cui sono state scattate complessivamente 8.000 jpg in compressione fine masterizzati in modo incrementale su DVD in doppia copia ogni giorno con controllo in lettura e in scrittura.
Una sana F5 ha scattato 80 rulli di Velvia 50, quindi circa altre 3.000 immagini con il doppio obiettivo di ottenere immagini di risoluzione elevatissima per particolari futuri impieghi editoriali e con l'obiettivo di aggiungere certezze a certezze: anche se le immagini venivano giudiziosamente masterizzate su DVD ogni sera, la sicurezza della pellicola non è ancora tramontata, anzi.

Lasciando per un momento da parte la tecnica
Riferire per esteso la chiaccherata avvenuta con Angelo D'Arrigo richiederebbe troppo spazio. Per sommi capi, e per importanza sparsa, Angelo ci riferisce intanto sul ruolo fondamentale avuto dalle macchine fotografiche come testimoni inequivocabili dell'evento: se una volta a certificare una scoperta o un record era sempre qualche compagno che si accompagnava allo scopritore o allo sfidante, questo di D'Arrigo è stato un tipico caso dove non c'era alcun tipo di possibilità per "testimone" di assistere in diretta all'evento: probabilmente la vera testimonianza dello sbarco sulla Luna sono state più le foto scattate dagli astronauti sul suolo lunare che i pur preziosi minerali che hanno riportato sulla Terra.
Questa volta quindi la responsabilità di immortalare e certificare più che il semplice record l'evento assoluto e senza alcun tipo di precedente è stato affidato a Nikon e le sue fotocamere hanno sfidato con D'Arrigo il gelo, la condensa, gli sbalzi termici, la velocità e "l'atterraggio tecnico" senza alcun problema. Anche se un barografo sigillato ha confermato al di sopra di qualsiasi dubbio l'altitudine raggiunta, resta sempre una bella differenza a vantaggio delle immagini se le confrontiamo con la il grafico dell'altitudine che è stato poi estrapolato da questa sorta di "scatola nera".
Si dice vedere per credere, giusto? E poi, al di là della prova, questo è stato l'unico modo per rendere in qualche modo partecipi noi poveri bipedi di questa sfida unica con da una parte un essere umano, dall'altra i restanti sei miliardi con il naso all'insù.

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Non deludermi, Coolpixina mia bella…

Il coraggio, la sfida, lo spirito
Anche se il focus di questo sito è la diffusione della fotografia, non possiamo non concludere questo Nikon Life con qualche parola che va oltre alla tecnologia impiegata.
Angelo D'Arrigo ci ha rivelato che la sensazione visiva più forte che ha provato è stata nel momento in cui con lo sguardo copriva tutta la catena dell'Himalaya, l'altipiano tibetano e il versante nepalese.
La sensazione al contrario più negativa è stata la continua consapevolezza che, a differenza per esempio degli scalatori dell'Everest che in qualunque momento possono abortire la missione e ritornare indietro in attesa di una situazione più favorevole, lui non solo non poteva interrompere la missione – era in volo libero a quasi diecimila metri d'altezza!!! – ma doveva anche preoccuparsi di monitorizzare il punto d'atterraggio: quello prescelto infatti era già occluso da un fronte nuvoloso; la seconda alternativa non era praticabile per potenziali problemi diplomatici con le autorità cinesi, fino al rischio della reclusione. La fortuna ha voluto che proprio nella zona sorge la piramide – italianissima! – del CNR: nonostante l'atterraggio sia stato estremamente tecnico (traduzione: toccare terra e soprattutto roccia a 100 km/h con una grossa bombola di ossigeno sulla schiena) la missione si è felicemente conclusa.
Un altro momento "critico" è stato quando l'ultraleggero che trainava D'Arrigo, quando la quota dei 9.000 metri era già quasi stata raggiunta, è stato trascinato verso il basso da un violentissimo turbine d'aria che ha fatto immediatamente spezzare il cavo di traino, sparando letteralmente D'Arrigo verso l'alto…

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La Coolpix centrale; in basso è
ben visibile il pulsante rosso
e gli switch per l’attivazione dei
vari apparati di ripresa

D'Arrigo ci riferisce di un pensare ultraterreno, della piccolezza dell'essere umano immerso in un simile contesto sino a chi/cosa abbia "creato" tutto questo.
Avendo realmente sfidato l'impossibile gli abbiamo esplicitamente chiesto se avesse anche contemplato il peggiore degli insuccessi. La risposta è stata scientifica: l'aspetto sicurezza estrema era già stato più volte sperimentato sia in termini umani che di strumenti attraverso il Centro Ricerche di Fiat e il Centro Sperimentale dell'aeronautica Militare Italiana; per ogni potenziale problema fosse potuto sorgere c'erano sempre almeno due soluzioni tra le quali scegliere (di potenziali campi di atterraggio – una delle cose più delicate dell'intera missione – ne erano stati mappati ben dieci). D'Arrigo conclude dicendo che qualcuno potrebbe anche averlo preso per un pazzo, vista la difficoltà quasi insormontabile dell'impresa, ma non certo assurdo: tutto era stato minuziosamente calcolato a tavolino.

Over Everest cade a qualche mese dai festeggiamenti per i cento anni dell'aviazione e per i cinquecento anni dal periodo in cui era attivo il grande Leonardo da Vinci. Ed è proprio a Leonardo da Vinci che si è ispirato D'Arrigo: Leonardo infatti aveva progettato un velivolo che battezzò poi piuma per la forma molto simile alla piuma di un uccello e il cui progetto è stato rinvenuto da poco. D'Arrigo ha seguito scrupolosamente il progetto della piuma di Leonardo, l'ha costruito e ha volato per due ore consecutive nella galleria del vento. D'Arrigo ha così dimostrato che il progetto non aveva nulla di fantascientifico, ma il solo problema di essere stato realizzato in un momento nella storia dell'umanità dove non esistevano i materiali – come le fibre composite e ultraleggere – atti alla sua fabbricazione (maggiori informazioni sul sito www.angelodarrigo.com).

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A missione finita si scaricano anche le immagini scattate dalle due Coolpix, visibili sul piano di lavoro

Con Over Everest D'Arrigo non ha certo finito di stupirci. Lo attendono e ci attendono nuove sfide: la prossima, della durata di tre mesi consecutivi – senza alcuna sosta – lo vedrà impegnato a giocare ininterrottamente con i suoi tre bambini, a cui ha dovuto rinunciare per molto tempo sia recentemente che nei due anni che sono culminati con il successo di Over Everest.
Gli abbiamo chiesto delle due aquile nepalensi: appena giunte in Nepal sono state ricoverate in un centro veterinario a causa di una malattia avicola. Delle due, Gea, la femmina – che anche nel mondo degli animali è sempre superiore all'uomo… - si è subito ripresa, ha volato con D'Arrigo per familiarizzarsi col territorio e alla fine ha spiccato il suo primo volo in assoluta libertà.
Abbiamo anche chiesto a D'Arrigo perché non si è fatto accompagnare da Gea durante la trasvolata sull'Everest. – Semplice, ci ha risposto D'Arrigo, avrebbe sicuramente vinto lei, era l'unico avversario che avrebbe potuto battermi… -.

Angelo D'Arrigo entrerà così a far parte della storia, probabilmente con un significato più vicino all'estremo, allo sportivo e al primato.
Ma, crediamo noi, se Amstrong è stato il primo uomo a toccare il suolo lunare, Angelo D'Arrigo è stato il primo a volare sopra l'Everest. E se dopo Amstrong molti astronauti si sono cimentati con esito felice nella stessa impresa, dubitiamo che un altro uomo oserà invece sfidare la trasvolata dell'Everest.
Icaro ha sfidato gli dei, Arrigo semplicemente sé stesso, ma il sapore di leggenda è uguale per entrambi. E nella leggenda, a differenza di Icaro, questa volta c'era una Nikon a documentare il tutto, entrando, in estrema modestia ma anche lei a pieno titolo nella leggenda.

 
 

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