Passione Digiscoping

A cura di: Riccardo Camusso, Moreno Pellegrin

Iniziamo da questo numero una serie di esperienze in digiscoping sul campo, dedicate agli animali selvatici più diffusi in Italia e all'estero. I caprioli sono “scesi” dalle montagne e hanno colonizzato colline e pianure del Centro-Nord: tutti li vedono, ma pochi riescono a catturarli in un file digitale.


I momenti in cui si può cogliere un capriolo al sole sono piuttosto rari.

Il digiscoping è diventato adulto. Fino a pochi anni fa, gli appassionati di Natura e di fotografia pensavano che fotografare con un telescopio da osservazione fosse un gioco e che mai si sarebbe ottenuta una qualità fotografica che andasse oltre la pura documentazione. Oggi, grazie alle nuove fotocamere (compatte e/o reflex) digitali, al formato RAW e ad altre tecnologie, i telescopi terrestri non sono più soltanto strumenti di osservazione per le lunghe distanze, ma anche ottimi “teleobiettivi” fotografici.
Iniziamo una serie di “Nikon Life” dedicati al digiscoping sul campo, in chiave tecnico-emotiva, utilizzando gli splendidi animali selvatici che popolano boschi, montagne, colline e savane. Poiché il digiscoping odia i recinti, le voliere e gli zoo, troverete in queste pagine sempre e soltanto animali che vivono in assoluta libertà, quelli cioè che esaltano questo particolare tipo di fotografia, il cui principio fondamentale – oltre alla tecnica – è quello che il fotografo stia “fuori scena”, cogliendo così soggetti frontali, nasi umidi, occhi, espressioni, e comportamenti di animali selvatici che non fuggono, proprio perché il fotografo opera “dietro le quinte”.
Cominciamo dal capriolo perché è –oggi – l'ungulato più diffuso in Italia; le colonie di caprioli non occupano solo più le zone alpine, ma hanno colonizzato colline e pianure di tutto il Centro-Nord. Estremamente fedele al territorio, il capriolo rappresenta quindi un incontro frequente in molte regioni italiane ma non è facile fotografarlo e cogliere gli aspetti della sua bellezza, specialmente quando veste il rosso abito estivo. Per ottenere buone immagini, occorrono strategie fotografiche particolari, rispetto delle distanze di fuga, conoscenza delle abitudini e settaggi della fotocamera che si adeguino ai loro orari. È una palestra assai stimolante per i teleobiettivi e per il digiscoping. A questa prima puntata, ne seguiranno altre, dedicate alle più diffuse specie di selvatici, agli ambienti che li ospitano e alle strategie che occorrono per riprenderli.


Due giovani caprioli nell’erba alta. La scarsa profondità di campo costringe a una messa
a fuoco assai precisa, da eseguire sul telescopio.

TELEOBIETTIVO o TELESCOPIO?
Sgombriamo il campo - una volta per tutte - dalla domanda che ci viene posta con grande frequenza: è meglio fotografare con il teleobiettivo o con il telescopio?
Non c'è una risposta sicura, oggi: contrariamente a quanto si crede, le due tecniche fotografiche, rivolte agli stessi soggetti, non sono alternative tra loro, ma complementari: rappresentano, cioè, una diversa interpretazione di un'identica situazione fotografico-naturalistica. Sottolineiamo “oggi”, perché, in un recente passato, nel vocabolario del telescopio esisteva soltanto il termine “documentazione pura”; oggi, invece, si può parlare anche di qualità fotografica, che non è più esclusiva dei teleobiettivi.
In pratica, la scelta è assolutamente personale. Entra cioè in gioco il differente approccio nei confronti degli animali; con il teleobiettivo dobbiamo mantenere la distanza tra noi e i soggetti selvatici ripresi più breve rispetto a quella che possiamo tenere quando usiamo il telescopio: con quest'ultimo, insomma, possiamo stare “fuori scena”. Con i caprioli, per esempio, che scompaiono in un secondo nel bosco, l'uso del telescopio diventa particolarmente utile e complementare a quello del teleobiettivo. In chiave fotografica ciò significa poter realizzare decine di scatti, studiati con la calma conseguente all'ampia distanza tra il fotografo e il fotografato.


Un bel maschio di capriolo in pastura nell’erba medica, fotografato con il telescopio a 30x.
La distanza dal punto di ripresa è di circa 300 mt. (1/30”- f/4 – 400 ISO).

Una situazione tipo, in collina, è un grande prato di erba medica (vedi foto 03) dove i caprioli, golosi di questa coltura, escono ogni giorno negli stessi orari e con gli stessi percorsi. Due sono i tipi di approccio fotografico: il primo è quello di occupare i punti di ingresso dei caprioli con un avvicinamento - cauto, silenzioso, basso e mantenendo il vento in faccia – che ci porta al di sotto della distanza di fuga (nei caprioli allo scoperto supera quasi sempre i 100 metri).
Se tutto viene eseguito bene i risultati fotografici – sia con il teleobiettivo che con il telescopio – sono spesso eccellenti. Occorrono, in questo caso, una quantità di accorgimenti superiore rispetto al secondo tipo di approccio, quello effettuato in digiscoping. Questa tecnica – come dicevamo prima – ci consente di stare “fuori scena”, cioè ai bordi del medicaio e oltre la distanza di fuga dei caprioli; non c'è neppure bisogno di camouflage estremo. Grazie a questo secondo approccio potremo ammirare la bellezza degli animali nelle lenti del telescopio e avremo un controllo totale della situazione: i caprioli faranno le loro cose, la loro normale pastura; non dovremo usare richiami e ogni pianta e filo d'erba saranno sotto stretto controllo. Certo: eseguiremo un gran numero di scatti, spesso andando da un soggetto all'altro e a prescindere dalle distanze. Nella foto ambiente, eseguita con obiettivo normale, abbiamo indicato con un circoletto giallo il capriolo appena uscito dal bosco, assolutamente invisibile a occhio nudo; nella foto a sinistra, eseguita con il telescopio, il bel maschio, distante circa 300 mt dal punto di ripresa, sfoggia la sua bellezza a pieno display. (Consigliamo agli appassionati di digiscoping di realizzare, sul momento, sempre una foto “ambientale”, per valutare il tipo di situazione).
In conclusione, il “raffronto” fra teleobiettivo e telescopio non ha senso: la scelta dipende dalle preferenze personali. Nelle prossime puntate, vedremo le situazioni più adatte all'uno e all'altro strumento – anche in macro -, comprese quelle in cui il teleobiettivo e il telescopio possono essere alternati (a seconda delle distanze) anche in una stessa sessione fotografica.


Una tipica situazione da digiscoping: a destra la situazione ambientale: nel circoletto il punto dove si trovava il capriolo.
A sinistra, come appare il soggetto nel telescopio a 30x.

L'ABBINAMENTO
L'arte del digiscoping si basa sull'abbinamento di una fotocamera digitale (reflex o compatta) con un telescopio da osservazione. La stessa cosa vale anche per le videocamere digitali palmari (comprese quelle ad alta risoluzione). In questo connubio, il ruolo di protagonista spetta al telescopio: la fotocamera non legge direttamente la realtà che sta molto distante, ma la proiezione della realtà stessa, cioè quella che viene letta nelle lenti del telescopio.
Ecco perché – in digiscoping - le (evidenti) differenze fra una compatta di ultima generazione e una reflex, quasi si annullano; ancor di più da quando le compatte consentono la realizzazione di file RAW, la possibilità di un autoscatto remoto, la messa a fuoco manuale (M) e tanto altro.

Il nostro personale consiglio è quello di iniziare con una buona compatta, come per esempio l'ottima COOLPIX P6000, che si è dimostrata, come vedremo,una delle migliori soluzioni per il digiscoping (e non solo); ciò, senza dimenticare che possiamo aggiungere (moltiplicando) lo zoom della fotocamera a quello dell'oculare del telescopio ed il generoso display ci permette un perfetto controllo della situazione.
Poi, ma soltanto dopo, possiamo alternare la nostra compatta ad una reflex digitale: nel conto dobbiamo mettere il maggior peso, l'esigenza di un perfetto bilanciamento dell'attrezzatura, le vibrazioni dello specchio e l'impossibilità di variare gli ingrandimenti; potremo però sfruttare, in compenso, la maggior velocità del sensore e le sue dimensioni, anche a parità di pixel; potremo, inoltre, lavorare attraverso il mirino, come tradizione, utilizzando il telescopio esattamente come un teleobiettivo (escluso autofocus).
Circa il modello di telescopio, ai “cannocchiali” classici si preferiscono i telescopi compatti, sia lineari che angolari (A). La scelta è personale, ma gli angolari – pur avendo uno specchio in più, che comunque non incide sulla luminosità e sullo schema ottico – si dimostrano più versatili: potendo ruotare di 360° sul proprio asse, si adeguano perfettamente alla posizione del fotografo, quale essa sia, specialmente con angolo di sito elevato; l'ingaggio con il selvatico è, all'inizio, un po' innaturale – si deve “ragionare” ad angolo -, ma ci si abitua in poco tempo e il disagio viene compensato dalla versatilità. Al top di gamma Nikon troviamo i nuovi Fieldscope EDG85 e EDG65, entrambi sia in versione lineare che angolare (A). Gli EDG si distinguono per il diametro della lente frontale che è il responsabile della luminosità assoluta dell'immagine visualizzata e della risoluzione. Rispetto ai precedenti modelli Fieldscope che raggiungevano il diametro di 82 e 50mm, i nuovi EDG hanno un diametro di 85 e 65mm. La gamma è completata da sei tipi di oculare, di grande diametro, sia fissi che zoom, tutti applicabili ai diversi EDG (per le specifiche tecniche, rimandiamo alle ottime schede di Bonomo).
Per applicare una fotocamera compatta, usiamo la staffa Digital Camera Bracket FSB-U1, mentre la reflex si collega con il telescopio attraverso l'adattatore FSA-L2, vedremo come.


In pochi secondi, si può passare dall’osservazione alla fotografia

IL PIACERE DI OSSERVARE.
I telescopi che oggi usiamo (anche) per fotografare, sono parenti stretti dei “cannocchiali” tradizionali, nati per osservare alle lunghe e lunghissime distanze. Questa parentela, pur se sono cambiati gli schemi ottici, le lenti e le forme, vive ancora oggi: con i telescopi terrestri Fieldscope possiamo realizzare non soltanto ottime fotografie, ma lasciarci catturare dal fascino dell'osservazione pura (naturalistica e non solo).
Vediamo come alternare con facilità le due cose con i caprioli, oggetto di questa puntata. Applichiamo – prima della sessione – la nostra fotocamera compatta COOLPIX P6000 al telescopio, con la slitta FSB-U1, collimando e mettendo in asse tutto con estrema precisione, e soprattutto, tenendo conto dell'escursione massima dello zoom della fotocamera. Ciò fatto, entriamo in azione tenendo la fotocamera in posizione di “riposo”, cioè facendola ruotare lateralmente, sbloccando l'apposita vite. In questo modo, con la fotocamera pronta all'uso e già in assetto ottimale, ci godiamo la scena dei caprioli – lontani – che vediamo a stento con gli occhi o con il binocolo.
Come per magia, mettendo gli occhi nelle lenti del Fieldscope, e focheggiando senza problemi grazie alla precisione (e dimensioni) della ghiera di messa a fuoco, non solo vediamo perfettamente i caprioli, ma ne riconosciamo sesso, classe di età e ogni altro dettaglio.
Molti usano questo tipo di ingaggio con il soggetto anche per fotografare: inquadrare il capriolo direttamente nel telescopio è sempre più agevole che farlo attraverso il display. Quando abbiamo inquadrato il soggetto nel telescopio, facciamo ruotare la fotocamera (già pronta) e la portiamo in posizione di lavoro – ci vuole meno di un secondo –, controllando l'inquadratura nel display. Un colpo di zoom per eliminare la vignettatura ed il gioco è fatto.
Eseguiti gli scatti, possiamo nuovamente sbloccare la fotocamera e metterla in posizione laterale, proseguendo nell'osservazione (o ricerca) pura.
Questo “metodo” ha un ulteriore vantaggio: visto che la messa a fuoco necessaria per una buona fotografia si deve sempre fare attraverso il telescopio (tenendo la fotocamera all'infinito), la focheggiatura che eseguiamo per osservare risulterà valida anche per fotografare. Se il soggetto si sposta, basteranno piccoli aggiustamenti del fuoco sul telescopio, controllabili meglio con l'MF della COOLPIX P6000, direttamente nel display. In pratica, sul campo, il piacere dell'osservazione diventa utile supporto alla fotografia, e viceversa.


Il Fieldscope EDG85 A abbinato alla COOLPIX P6000.

STRATEGIE PER CAPRIOLI
La prima fase richiede almeno un paio di ricognizioni. Si cercano le zone frequentate dai caprioli e si sceglie quella ritenuta migliore. È facile: i caprioli sono molto diffusi, e possiamo sfruttarne la fedeltà territoriale: se in un giorno qualsiasi scorgiamo qualche capriolo in un prato, è quasi matematico che – nei giorni successivi – li rivedremo in quel posto, stessa ora.
(Noi abbiamo la fortuna di vivere e lavorare letteralmente fra i caprioli; al punto che – nei nostri libri sul digiscoping e nei workshop – siamo arrivati al punto di riconoscerli e chiamarli per nome e cognome, zona per zona).
Occorre valutare attentamente tutte le variabili, quali cascine o case intorno, cani liberi, stagioni, presenza di acqua, tipo di coltura (i frutteti e i medicai, in collina, sono il meglio), strade vicinali, tagli stagionali dell'erba, temperature ecc.
La seconda fase è mirata alla localizzazione del punto migliore per le riprese. Numerosi sono i fattori da valutare: punti di ingresso e uscita dei selvatici (quasi sempre gli stessi); orari preferiti dai caprioli (quasi sempre all'alba e al tramonto, anche se può accadere di vedere qualche capriolo isolato in ore centrali, ma non fa testo); incidenza della luce e “giro” del sole; vento dominante, sfondi previsti...
La cosa più importante – in chiave fotografica e strategica – è una “previsione” delle distanze possibili: la fedeltà del capriolo ai propri percorsi fissi ci porta a scegliere un elemento del paesaggio come punto di riferimento per la messa a fuoco e per il fattore d'ingrandimento ottimale.


Questo capriolo, battezzato Volpone perché esce sempre dal bosco per pochi minuti,
è stato fotografato in tre diverse stagioni della sua vita, sia con il palco in velluto che pulito.
Il digiscoping consente il perfetto riconoscimento di ogni soggetto.

L'ultima fase (che può anche essere la prima se si ha poco tempo a disposizione e ci si affida alla fortuna) consiste nell'arrivare nella zona e nel punto prescelti almeno mezz'ora prima dell'ora d'ingresso in scena dei caprioli. Quando escono, dobbiamo aver già piazzato il treppiede, il telescopio, la fotocamera e tutto il resto, in modo ottimale, cioè senza dover effettuare ulteriori spostamenti. Il capriolo, infatti, non ha una vista acutissima, ma sente e “vede” soprattutto con l'olfatto e l'udito: se siamo fermi e controvento su uno sfondo poco uniforme non riesce a localizzarci bene, ma appena muoviamo un braccio…
Durante l'azione, può accadere che qualche soggetto interessante si posizioni in modo fotograficamente “sbagliato”; la nostra risposta deve essere la rinuncia ad uno spostamento, anche minimo, e alla foto: l'animale fuggirà assai prima che noi lo abbiamo inquadrato. Se non fuggirà lui, ci penseranno le “sentinelle” (femmine e/o piccoli) a dare l'allarme.
In ogni modo – se abbiamo scelto bene il punto di ripresa – prima o poi, il soggetto che vogliamo rinchiudere in un file fotografico si posizionerà come vogliamo.
Le ultime due “regole” per i caprioli sono il fischio e l'allontanamento. Poiché siamo sempre fuori scena, i momenti in cui i caprioli stanno mangiando, con la testa nascosta dall'erba, sono lunghi. Se non si vede la testa e l'espressione del capriolo, la foto parla poco. Periodicamente, il capriolo alza la testa e interroga l'aria, ma per pochi attimi, troppo brevi per l'autoscatto a tempo (occorre l'autoscatto remoto). Come fare? Noi usiamo un piccolo fischio, o un richiamo, da usare con molta discrezione: con la fotocamera accesa, il dito sul pulsante, in apnea e con il fuoco giusto, eseguiamo un piccolo fischio (anche con la bocca): il capriolo alza di scatto la testa e si ferma per un secondo o due in quella posizione: tutto il tempo di effettuare due o tre scatti in continuo. Vale anche per animali in corsa (troppo) veloce: con il fischio fanno uno stop, breve, ma sufficiente, prima di eclissarsi nel bosco.
Quando abbiamo esaurito la scheda di memoria, infine, non dobbiamo assolutamente allontanarci e/o farci vedere prima che gli animali si siano allontanati: i caprioli hanno grande memoria e, così come riconoscono bene i rumori “amici” da quelli “nemici”, non dimenticano un disturbo forte nell'ora della pastura e possono trascurare la zona per il giorno successivo.


Soltanto un telescopio da osservazione può cogliere l’espressione di questo bel capriolo in amore
(a circa 180 mt. di distanza) che vede sfilare davanti a sé la femmina.

SETTAGGIO PER CAPRIOLI.
Agli allievi e a tutti coloro che frequentano i nostri workshop confermiamo quanto abbiamo scritto sui libri: non serve, cioè, perdere la testa nei menu della compatta e/o della reflex perché quasi tutte le opzioni – in digiscoping – portano allo stesso risultato o, meglio, alla stesso rapporto tempo/diaframma. Meglio quindi impostare l'esposizione su P e lasciare che la fotocamera (programmata) registri fedelmente quanto legge nelle lenti del telescopio. Nelle foto allegate, indichiamo i relativi metadati, più eloquenti delle parole.
Sul campo, sono rari i casi in cui si renda necessario variare, e lo si può sempre fare ruotando la ghiera principale (Programma Flessibile) per aumentare il diaframma o il tempo di esposizione, sempre in corretto rapporto tra loro.
Coi caprioli, raramente si rende necessario compensare l'esposizione perché raramente la scena presenta forti contrasti fra alte e basse luci. Non dimentichiamo, poi, che, usando il RAW, queste correzioni (compreso il bilanciamento del bianco e l'eventuale saturazione) si possono eseguire, con calma, con programmi di postproduzione come il Nikon ViewNX2, che si trova nelle confezioni delle fotocamere. In pratica, grazie al RAW, la fotografia appena eseguita che vediamo nel display potrà essere tranquillamente “scialba” o, meglio, neutra (cioè senza alcun valore particolare impostato da menu): ci penserà poi la post-produzione a impostare, con calma e attenzione, i parametri dettati dalla nostra creatività e fantasia.


Quando una fotografia coglie anche la bellezza della perlatura di un palco di capriolo,
la documentazione si sposa con la qualità fotografica.

Ciò non significa che non si possano impostare settaggi personalizzati, ma, dopo numerosi test, abbiamo verificato che l'esposizione programmata fa bene il suo lavoro, e ci permette di concentrarci sullo scatto e sulla focheggiatura. D'altronde, tutti gli elementi che rendono bella una fotografia (come profondità di campo, nitidezza, luminosità, saturazione, bianco, eventuali aberrazioni cromatiche ecc.) dipendono – nel bene e nel male – dal telescopio. Se questi è di grande qualità, come i nuovi Nikon Sport Optics EDG, gli automatismi traducono fedelmente quanto vedono nel telescopi. E viceversa.
Gli ulteriori fattori per il settaggio sono la messa a fuoco manuale, o sull'infinito (la messa a fuoco si fa sul telescopio e si controlla nel display); l'esclusione del flash e la regolazione in autoscatto. In digiscoping, la priorità assoluta è la stabilità dell'attrezzatura; anche la semplice pressione del dito sul pulsante di scatto può creare un effetto micromosso. È una “tassa” da pagare ai maxi-grandimenti offerti dal telescopio: esamineremo bene questo aspetto e i fattori di ingrandimento – cioè i “fondamentali” del Digiscoping - nelle prossime puntate, che dedicheremo ad altri ungulati, all'avifauna acquatica e ai selvatici delle savane africane.

 

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