A cura dell’Associazione Speleologica Genga San Vittore (AN), con la collaborazione del Corpo Volontario Soccorso Civile di Bologna
«Tutto ciò che è ignoto si immagina pieno di meraviglie»
da Agricola, Tacito, 98 d.c.
Eravamo rimasti al mese di marzo del 2010, dopo le prime tre escursioni fotografiche al Buco Cattivo. Il programma prevedeva di terminare le riprese entro quell'anno, ma il lavoro, risultando più impegnativo del previsto, ha portato i tempi ad allungarsi.
Così, l’attività in grotta si è protratta fino ad aprile 2011 e dopo tanto lavoro al computer, da parte del sottoscritto e del grafico Gianni Castellani, il libro è stato finalmente pubblicato all’inizio di ottobre. Per fotografare gli oltre sette chilometri di grotta, alla fine sono state necessarie 20 giornate di riprese che hanno coinvolto in totale 30 persone. Le fotografie scattate sono state 2.193.
Il perché di tutto questo? La documentazione fotografica è parte importante della speleologia. Serve a descrivere gli ambienti e aiuta a comprendere i processi di formazione. Con la fotografia si “porta alla luce” una parte di mondo ancora sconosciuto e, in genere, riservato a pochi.
Per i non addetti ai lavori, è difficile immaginare le difficoltà che si incontrano quando si fotografa in grotta, e da questo punto di vista il Buco Cattivo è uno degli ambienti più ostili che abbia mai conosciuto. Acqua e fango sono presenti in abbondanza, tanto da rendere disagevole e faticoso, in molti tratti, il trasporto della attrezzatura. In questo Nikon Life voglio quindi parlarvi dei problemi che abbiamo incontrato e del modo in cui li abbiamo risolti, sperando che il racconto possa essere utile a chi intende cimentarsi in imprese simili.
Traverso nel Ramo della Gaggia
La posizione era alquanto scomoda e instabile ma obbligata. Per evitare che il treppiede cadesse è stato necessario legarlo con un cordino all'imbrago.
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ATTREZZATURA UTILIZZATA
L’attrezzatura che si usa in grotta è da considerare “materiale a perdere”. Basta veramente poco: un urto più forte del solito, una caduta in acqua, il fango e il danno è fatto. Dato che non avevamo troppi soldi a disposizione, la scelta della fotocamera è stata praticamente obbligata: abbiamo utilizzato la mia “vecchia” Nikon D70 completa di zoom 18-70mm f/3,5-4,5.
La macchina ha compiuto miracoli reggendo benissimo a tutti i maltrattamenti a cui è stata sottoposta, mentre lo zoom alla fine qualche danno l'ha subito: ha ceduto l’autofocus.
Occorre però considerare che per via delle due ghiere da utilizzare durante le riprese, è risultato difficile proteggere l’obiettivo in modo adeguato. Per le macro invece ho rispolverato l'obiettivo Nikkor 55mm f/2.8 AI. Si tratta in pratica della prima ottica che ho acquistato nel lontano 1982: ritengo a tal proposito impagabile la possibilità che Nikon offre di montare le vecchie ottiche sulle digitali più recenti.
La scelta del tipo di illuminazione ci ha posto di fronte ad alcuni dilemmi. Questa doveva ricadere tra i flash e i faretti a LED. Entrambi hanno pro e contro. I flash producono una luce migliore, più bilanciata e consentono l’utilizzo di tempi brevissimi riducendo il rischio di mosso. Di contro sono più delicati e devono essere sincronizzati con fotocellule mentre i radiocomandati li abbiamo esclusi a priori sempre per la questione dei costi. La sincronizzazione può sembrare una cosa banale, ma in grotta non lo è. L’umidità e l’acqua creano infatti dei problemi. A volte i flash non scattano, altre volte scattano da soli. Bisogna inoltre considerare che i flash sono orientati dagli assistenti, non da chi si occupa dello scatto, con gli errori e i malintesi che ne derivano. Inconvenienti che costringono a ripetere le pose svariate volte con inevitabile perdita di tempo e un consumo elevato di batterie.
I faretti hanno il vantaggio della robustezza e del basso consumo. Una volta accesi, offrono un'idea precisa di come disporli e di come verranno le fotografie. Di contro c’è che occorrono esposizioni abbastanza lunghe (4-8 secondi a diaframma 8) con conseguente rischio di mosso. Da non trascurare il problema relativo alla temperatura di colore della luce generata dai LED dei faretti. Questa è diversa da quella prodotta dalla maggior parte degli impianti di illuminazione posizionati sui caschi degli speleologi. Bisogna quindi accertarsi che tutti i presenti (compreso il fotografo) li tengano spenti durante lo scatto, pena la comparsa di zone con colori innaturali.
Alla fine abbiamo optato per i faretti utilizzandone uno a 12 LED e cinque a 4 LED. Per le macro invece il dubbio non sussiste: è d’obbligo l’uso del flash. Naturalmente in grotta occorre anche un buon treppiede, stabile e snodabile, data la difficoltà di trovare zone piane dove lavorare in comodità.
Ramo della Gaggia - In questo punto la postazione di ripresa era abbastanza comoda ma il problema era creato dal vapore che produciamo quando siamo bagnati e accaldati. Occorre perciò allontanarsi dalla macchina per evitare che la foto risulti "nebbiosa".
TRASPORTO E PROTEZIONE DELL'ATTREZZATURA
Il trasporto del materiale si è rivelato un'operazione delicata. Occorreva proteggere l’attrezzatura dagli inevitabili urti contro la roccia e, durante l’attraversamento dei laghi, dall'acqua. Abbiamo quindi utilizzato bidoni stagni con l’interno imbottito di gommapiuma.
Per quanto riguarda la protezione della macchina fotografica abbiamo invece lavorato “di fantasia”. Ogni fotografo speleo ha il proprio metodo. Io rivesto la fotocamera con nastro adesivo da imbianchino (perché non lascia tracce) e poi con nastro isolante. L’operazione è lunga ma funziona abbastanza bene e la macchina resta maneggevole. È molto importante, una volta arrivati a casa, togliere tutto e ripulire bene le parti che nonostante la protezione presenteranno comunque tracce di sporco. Durante le riprese abbiamo utilizzato guanti in lattice monouso mentre per la protezione dei faretti sono stati utilizzati sacchetti di nylon (fatta eccezione per il faro a 12 LED che scalda troppo) che dovevano essere sostituiti più volte durante le riprese dato che, sporcandosi di fango, davano dominanti anomale.
ILLUMINAZIONE DI GRANDI AMBIENTI
Nel Buco Cattivo si incontrano ambienti di grandi dimensioni come la Sala Franosa e la Sala Rinaldi. Entrambi superano i 100 metri in lunghezza. È facile intuire quanto non sia semplice illuminare spazi così grandi. Non essendo possibile farlo tutto in una volta, si procede per tratti, facendo avanzare man mano gli assistenti con le luci.
In questi casi è utile disporre di faretti di profondità, per illuminare le zone più alte. È inoltre importante trovare un posto comodo per lavorare in stabilità, evitando di muovere accidentalmente la macchina tra uno scatto e l’altro. Per la panoramica a 180° della sala Franosa sono stati necessari 25 scatti distribuiti su circa due ore di riprese. In questi casi è fondamentale contare su collaboratori molto pazienti e su abiti asciutti. In caso contrario, si rischia di “congelare”. Inutile aggiungere che anche l’operazione di “ricostruzione” dell’immagine finale al computer risulta abbastanza laboriosa.
Il Fungo è una concrezione dalla complessa genesi. Il segno in parete indica che la galleria era anticamente occupata da un lago.
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IL LAGO
Il lago è un po' la zona simbolo della grotta. È lungo 100 metri e l’acqua, a seconda delle stagioni, raggiunge la vita o il petto. Per l’attraversamento si può utilizzare la muta o la pontonierre, o addirittura niente (la temperatura dell’acqua è di circa 7 °C), conservando i vestiti asciutti da rimettere una volta arrivati dall’altra parte. Considerato che, durante le riprese, dovevamo rimanere in acqua per diverso tempo, ci siamo dotati di mute stagne. In questa zona si lavora praticamente a filo d’acqua ed è molto alto il rischio di mettere “a bagno” l’attrezzatura.
L’idea della custodia subacquea è stata scartata per problemi di peso, maneggevolezza e ingombro.
Un problema non indifferente l’ha creato lo strato di fango presente al di sotto dell’acqua. Il cavalletto e il fotografo tendevano a sprofondare lentamente e non è stato facile trovare zone stabili per lavorare in tranquillità. Inoltre l’acqua che è limpidissima, si intorbidisce immediatamente appena si mette un piede dentro, effetto che dal punto di vista estetico non è certo il massimo. Alla fine, per pulire il treppiede è stato necessario smontarlo completamente.
MACROFOTOGRAFIA
Come ho già scritto, per la macro ho utilizzato l'obiettivo Nikkor 55mm f/2.8 AI insieme al flash SB 24 collegato alla macchina con il cavo SC 17. Tutto materiale “d’epoca” ma che ha dato ottimi risultati. Se escludiamo l’uso della luce naturale, non ci sono differenze dal punto di vista tecnico tra la macrofotografia in esterno e quella in grotta. Nulla vieta quindi di utilizzare più flash.
Occorre tuttavia considerare le condizioni in cui si lavora e per questo ho preferito la praticità: poco materiale da trasportare e una maggiore velocità di esecuzione. Inoltre, visto che è difficile trovare punti comodi in cui posizionare il treppiede, ho preferito lavorare a mano libera con il flash orientato da un assistente. In questo modo si procedeva un po’ per tentativi fino a trovare l’angolo di illuminazione migliore per il soggetto.
CONCLUSIONI
Da come si può intuire osservando le immagini di backstage, fotografare il Buco Cattivo è stato un lavoro duro e impegnativo sia dal punto di vista tecnico, sia da quello fisico. Un lavoro che però ci ha dato molte soddisfazioni. La scarsità di mezzi è stata abbondantemente compensata da una grande volontà, nostra e di tutti gli amici che ci hanno aiutato e sopportato con pazienza. E se siamo riusciti a pubblicare un buon libro, lo dobbiamo anche a loro. Ci teniamo quindi molto a ringraziarli.
Foto di una vaschetta che si è formata sopra ad una grossa stalagmite nella Galleria dei Tornanti. Flash Nikon SB-24 collegato alla macchina con cavo Sc 17 e orientato da un assistente. Ottica zoom 18-70 f/3,5-4,5 dx (foto 1) e Nikkor Macro 55 f/2,8 AI (foto 2).
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Hanno collaborato alle riprese:
Liano Antonelli, Andrea Barbieri, Lino Bedini, Irene Borra, Alessandro Botticelli, Sara Camilleti, Federico Cendron, Lorenzo Cenerelli, Jelena Demidoveka, Daniele Ferranti, Fabrizio Fusconi, Alessia Galli, Lisa Gualandi, Andrea Longo, Gianluca Lorenzi, Maurizio Mainiero (anche autore di una parte dei testi), Michela Mancini, Sandro Mariani, Stefano Maselli, Uliano Massimi, Giovanni Picchio, Michele Profeta, Quinto Quaresima, Tatiana Starkova, Alberto Taccardo, Francesca Torchi, Fabrizio Torcoletti, Michelangelo Tuzza.
Ringraziamo inoltre:
La Regione Marche
La Comunità Montana dell’Esino-Frasassi
Il Parco Regionale Gola della Rossa e di Frasassi
Aurelio Zenobi di Hesis
Federazione Speleologica Marchigiana
Società Speleologica Italiana
Massimo (Max) Goldoni
Gianni Castellani
Viterbo Fotocine di Longiano (FC)
La Tipografia Moderna di Bologna
Info:
Giampaolo Zaniboni - giampaolo.zaniboni@gmail.com
Simone Cerioni – crnsmn73m@libero.it
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