Il Voodoo è uno dei culti più antichi al mondo. Religione ufficiale del Benin, piccolo stato dell'Africa Occidentale, è un misto di pratiche magiche ed elementi rituali cristiani. Il Life che segue racconta per immagini e parole un rito Voodoo autentico, tenuto nella città di Ouidah.
Sul mappamondo il Benin è un piccolo tassello nel mosaico dell'Africa Occidentale. Meta turistica pressoché sconosciuta, ha spiagge, città coloniali, villaggi dalle architetture uniche e una storia importante che si concentra a Ouidah, l'antica Abomey.
La storia di Ouidah è indelebilmente segnata da uno dei capitoli più tristi della storia umana, la tratta degli schiavi, che Bruce Chatwin ben racconta nel libro “Il viceré di Ouidah”.
Catturati dalle leggendarie Amazzoni e trasferiti in catene nella piazza Chaca Chaca, prima di essere imbarcati nelle stive delle navi, gli schiavi giravano, per sette volte le donne e nove volte gli uomini, intorno all' “albero dell'oblio”, con lo scopo di dimenticare il loro passato. Dopo questo macabro rituale, venivano tenuti per giorni nell'oscurità delle mangrovie, quindi preparati alle buie e anguste stive delle navi.
Chi partiva, “per non ritornare”, non dimenticava le proprie origini e restava fedele al proprio culto animista: il Vudù, o Voodoo, o Vodon. Il termine significa “genio”, “spirito protettore”, da cui gli equivoci e le esagerazioni di cui abbonda l’immaginario occidentale, evocando scene hollywoodiane di zombie, sacrifici umani e bambole infilzate. A Ouidah, teatro delle commemorazioni e del Festival Voodoo, La Porta del Non Ritorno, monumento nazionale, ne ricorda e celebra il sacrificio degli schiavi.
Per capire l’importanza del Voodoo nel Benin odierno, basta pensare che, quando nel 1997 il Presidente Kerkou omise un riferimento al Voodoo nel suo giuramento presidenziale, fu costretto a ripetere la cerimonia secondo la formula prestabilita.
Per il clima insopportabile e i tanti bianchi morti per malaria e febbre gialla durante l'era coloniale, il Benin era chiamato “ascella d'Africa” e “tomba dell'uomo bianco”. Il mio primo viaggio risale a due anni fa; come scopo un reportage sulla onlus “Qui le Stelle” che in Benin ha costruito un centro di sostegno per le donne maltrattate e di cui vi invito ad approfondirne i progetti.
IL VIAGGIO
Sono consapevole che questi dieci giorni a Ouidah, saranno caratterizzati da rituali Voodoo a misura di turista e sfilate in costume, dove i giovani sfoggeranno terrificanti quanto improbabili maschere.
La festa nazionale del Voodoo del 10 gennaio è l'evento turistico più importante. La maggior parte giunge in Benin solo per il tempo della sfilata ufficiale in cui, sotto il sole cocente di mezzogiorno, la spiaggia brulica di colori, venditori di feticci, danzatori, politici e delegazioni. E di ladruncoli, visti i tanti furti di macchine fotografiche, cellulari e videocamere.
Alloggio alla “Maison del la Joie”, letteralmente “casa del sorriso”, struttura-famiglia creata da Fabio Nadiani e da sua moglie Therese, che accoglie donne in difficoltà e bambini, molti dei quali vidomegon, un termine che identifica i moderni schiavi.
I primi tentativi di approccio con le varie sette Voodoo non danno i risultati sperati: richieste assurde di denaro o situazioni create ad hoc per turisti frettolosi in cerca di immagini “senz'anima”.
Anicet, 30 anni, è la mia guida ed è il custode della “foresta sacra”. Quando gli ricordo che ciò che mi propone è esattamente quello che non voglio fotografare, si arriva quasi a compromettere la nostra collaborazione. Leggo il disappunto sul suo volto. Lui è ferito nel suo orgoglio, io sono sfiduciato! Mi pento poco dopo, pensando a quanti “turisti-fotografi” cerchino invece da lui quello che io rifiuto.
Mentre la pala gira rumorosa sul soffitto, ascolto il vociare incomprensibile dei bimbi in strada e guardo le macchine fotografiche allineate sul piccolo tavolino. Sul tardi giunge la chiamata di Anicet che mi avvisa di un “vero” rituale Voodoo, la sera stessa. Alle 22 lasciamo la casa e con lo scooter raggiungiamo il luogo delle cerimonia.
Con me, Simone Stefanelli, un simpatico e bravo reporter di Pisa. Sono da poco passate le 23. Arrivano poco alla volta, sacerdoti Voodoo, uomini, donne con bambini anche molto piccoli.
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Nel buio quasi totale, rischiarato da piccole candele, avviene l'incontro con il sacerdote che deve autorizzare la nostra presenza. Sono in ginocchio, in attesa che le quattro conchiglie lanciate sul pavimento mi siano propizie. Dal sorriso accompagnato a espressioni in fon, la lingua locale, intuisco che posso partecipare al loro rituale.
Camminiamo per oltre un'ora verso un cimitero animista. Qui, giunti i fedeli prendono posto sulle lapidi delle tombe mentre i sacerdoti si addentrano in una foresta sacra a noi preclusa. Usciranno all'alba quando della gallina sacrificata sarà rimasta soltanto la cenere. Sono le tre di notte e non avvertiamo la stanchezza solo perché eccitati dalla situazione.
Non potendo documentare il cerimoniale, rientriamo per riposare qualche ora prima dell'alba. La mattina presto incontriamo la processione Voodoo già in viaggio verso il paese. Aprono danzando, gli spiriti fantasma, coperti di polvere bianca e visibilmente provati dalla fatica e dalle sostanze usate per restare svegli tutta la notte.
Siamo diretti alla casa del sommo sacerdote che dovrà impartire la sua benedizione sia al rituale sia ai sacrifici: una gallina, una capra e un vitello.
Sulla targa del Toyota Rav verde, spicca in color oro “SA Majeste Daagbo Hounon”, capo supremo del culto Voodoo. E credetemi, un fuoristrada con targa personalizzata da queste parti, non è cosa da poco. Occhiale scuro, cappello da cow-boy e cellulare perennemente in mano.
Rientrati, i saggi siedono in cerchio in una angusta stanza, dove un altare ospita gli amuleti Voodoo che proteggono il villaggio.
Per oltre un'ora discutono in fon, bevendo gin e fumando molto. Per non disturbare, entro ed esco dal piccolo locale, scattando poche fotografie e con la massima attenzione.
Il vociare accompagnato da un trambusto di persone, è il segno che iniziano i sacrifici. Prima il vitello, poi la capra e infine la gallina. Il loro sangue viene raccolto in un'unica brocca e versato con le mani sugli amuleti da purificare.
Bianco di carnagione, non proprio magro, si inginocchia e bacia il pavimento intriso di sangue. Mi dicono essere un sacerdote Voodoo giunto da Haiti.
Nessun turista è presente al rito, a riprova che sto documentando qualcosa di privato, ancestrale e intriso di magia. Un rituale così lontano dai nostri “parametri”, che a volte mi mette a disagio, ma che comunque rispetto.
Terminato il sacrificio, sono le ore più calde della giornata e tutti cercano cibo e riposo. Sono soddisfatto. Anicet lo intuisce e ne è orgoglioso: «Ericò» - così lui mi chiama - «le rituel n'est pas encore terminé, a cinq heures de l'après-midi, il y aura une danse des fantômes». È la danza dei fantasmi, che chiude tutto.
Rientro, stanco ed euforico, per riposare e scaricare le foto della mattinata. Appena il sole tramonta e il forte calore si attenua sono nuovamente al villaggio. La strada che lo attraversa è colma di gente. Un folto gruppo di uomini, con tamburi e strumenti vari, inizia a suonare.
L'amuleto è posto nel centro della strada sabbiosa. Da un lato siedono i sacerdoti Voodoo, dall'altro la gente partecipa al rito, incalzata dal ritmo incessante dei tamburi.
Alcuni danzatori sono a terra esausti. Un adepto entra in trance, cade per terra dimenandosi forsennatamente, mentre gli altri continuano a coprirlo di polvere bianca.
La luce scende rapida e restiamo nella penombra del crepuscolo. L'uso del flash è inevitabile.
Nel vagare frenetico dei danzatori, noto che alcuni di loro hanno tra le mani dei polli. I poveri volatili passano di mano in mano, tra parole incomprensibili e urla assordanti. Mi aspetto l'ennesimo sacrificio e invece... accade l'incredibile!
Rapidissimi, si infilano la testa del volatile in bocca e con un morso ne staccano di netto il collo.
La musica cresce di intensità e così l'eccitazione dei danzatori. Con in bocca la testa del pollo, ne versano il sangue sull'amuleto.
La stanchezza e lo spossamento giungono come la parola “Fine” nei film. La musica si interrompe improvvisa. Uno sciame di “ombre” rumoreggianti rientra nei loro villaggi. Questo è stato l'ultimo glorioso reportage realizzato con la mia Nikon D300.
Oltre 130.000 scatti in tutto, senza mai un problema. Con lei a corredo un AF-S Nikkor 12-14mm F/4G ED-IF, obiettivo asferico di impressionante incisione e lo “Stradivari” di casa Nikon, il leggendario 80-200mm F/2.8. Ora c'è la D800: per noi fotografi non ci sono più scuse!
Buona luce a tutti.
Riferimenti:
Enrico Mascheroni: www.photomascheroni.com | photomascheroni@alice.it
Onlus “Qui Le Stelle”: www.quilestelle.it
Struttura ricettiva “Maison del la Joie”: www.maisondelajoie.com