Grazie a quel libro compresi che la mia professione sarebbe stata la fotografia e non...
Il mio personale viaggio nella memoria riconduce a immagini di un paese in bianco e nero, ai miei primissimi passi nella fotografia, a un momento cruciale della mia vita: la tranquilla esistenza di uno studente universitario scossa da “Images à la sauvette” di Henri Cartier-Bresson. Grazie a quel libro compresi che la mia professione sarebbe stata la fotografia e non l’architettura. Da autodidatta, e con un grande esempio da seguire, girovagai con la mia prima Nikon.
Iniziai a cogliere la vita nel suo divenire: Torino, dove le valigie dei nuovi arrivati erano di cartone e i bimbi giocavano numerosi per le strade; l’ippodromo di Vinovo, dove un pubblico benestante seguiva le corse; Roma, dove un’assorta turista leggeva, osservata dalla statua di Paolina Borghese; Piazza Armerina, dove alcuni religiosi osservavano con attenzione i mosaici che rappresentavano i primi bikini della storia!
Impresa piuttosto ardua quella di cogliere l’attimo nei lontani anni 60: apparecchi interamente manuali, nessuno zoom, nessuna messa a fuoco o esposizione manuale, nessun motore che incrementasse il numero degli scatti...
Credo che la fotografia a colori sia simile all’odierna televisione per quel che concerne la fedele riproduzione della realtà, mentre la fotografia in bianco e nero sia affine alla radio: come quest’ultima rende la quotidianità degna di riflessione, “fotogramma” da assaporare facendo volare la fantasia.