Con più di 500 fotoreportage all’attivo, pubblicati su riviste nazionali e internazionali, Michele Dalla Palma è uno degli esploratori italiani più noti. Giornalista e scrittore, fotografo e conduttore TV, ha realizzato spedizioni in ogni continente. È Direttore Responsabile di Trekking&Outdoor, la più qualificata rivista sul tema del turismo responsabile. Insieme a Silvia Della Rocca, autrice e regista televisiva, produce il format televisivo “Sentieri d’Italia” di cui sono già andate in onda su Marcopolo TV più di 100 puntate.
Quest’anno, in occasione dei 100 anni di Nikon, una sua immagine è stata selezionata e inserita nel volume celebrativo “IT’S A NIKON, IT’S AN ICON” che ha festeggiato il secolo di vita del brand con 100 scatti di 100 fotografi selezionati tra migliaia di professionisti.
In vista dei Nikon School Travel di cui Michele Dalla Palma sarà master, lo abbiamo raggiunto per farci anticipare qualcosa sui luoghi che, sotto la sua guida, i partecipanti avranno la possibilità di visitare e fotografare. Ne è derivata un’interessante conversazione che spazia dalla passione per la montagna alla visione con cui lo stesso fotografo affronta, in compagnia delle sue reflex Nikon, viaggi fotografici impegnativi non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo.
Viaggio da più di 40 anni e alla base di tutto c’è sempre stata la curiosità, spesso estrema, di vedere frammenti di mondo prima che cambiassero o addirittura sparissero. Sorte che è toccata purtroppo a diverse realtà.
accontare per me è una sorta di malattia che mi accompagna sin da quando ero bambino. E la scusa per farlo me l’ha sempre fornita la passione smisurata per le montagne che negli anni mi hanno permesso, oltre che di conoscere il mondo, anche di praticare l’alpinismo, la scalata e lo sci.
E quando parlo di montagne mi riferisco sia a quelle più vicine al posto dove sono nato, come le Dolomiti e le Alpi, sia alle più lontane che ho avuto la fortuna di frequentare dalla prima metà degli anni 80: l’Himalaya, le Ande, le cime dell’Alaska e dell’Africa. Ovunque ci sono montagne da scalare, insomma, ci sono io.
Accanto ai luoghi da esplorare mi ha fin da subito affascinato la presenza di popoli e culture. Da qui è scaturita la voglia di raccontare anche attraverso la fotografia. In questo senso, non saprò mai se sono prima un narratore o prima un fotografo, perché le due cose si sono compenetrate fino a fondersi.
Viaggiare in modo continuativo è in effetti uno stile di vita che ti sgancia dalle certezze e ti insegna ad adattarti a qualunque situazione. E a percepire il luogo in cui ti trovi senza farti condizionare dalle tue certezze.
Voglio dire che per riuscire a comprendere realtà infinitamente lontane da noi, dove anche i punti di riferimenti etici e culturali cambiano radicalmente, non devi essere condizionato dalla tua cultura. Per stare nel mondo, devi riuscire a cancellare il tuo pensiero in modo da evitare valutazioni errate dei luoghi e delle genti. Questo metodo, detto “metodo pragmatico dell’antropologia”, lo applico anche alla fotografia. Solo osservando senza interagire dal punto di vista emotivo, riesco ad avere un quadro ampio e oggettivo di ciò che osservo e fotografo.
Sì, con l’esperienza smetti di farti domande di fronte alle situazioni, assimili in modo acritico tutti gli stimoli che ti arrivano dall’esterno e finisci per conoscere realmente ciò che ti circonda. Questa è anche la mia filosofia per quanto riguarda la fotografia. A tal proposito mi piace ricordare una frase di Ferdinando Scianna secondo cui “con la fotografia si può mentire su qualunque cosa, ma a volte, con molta difficoltà, si può anche raccontare la realtà”. Questa è la sintesi della mia ricerca fotografica: da sempre cerco di fornire una visione oggettiva di quello che vedo, non inquinata dal mio punto di vista personale. Su questo argomento ho anche scritto e pubblicato un libro dal titolo “Fotoreportage” edito da Hoepli nel 2014.
Mettere qualcosa di personale nelle proprie immagini, una sorta di firma stilistica o di maniera che renda il fotografo protagonista. Questo non è fare reportage ma significa autocelebrarsi. Ricordo sempre ai miei allievi che prima di essere un fotografo di reportage, sono un professionista che rispetta spazi ed emotività di chiunque e di qualunque cosa. Non solo degli uomini e degli animali, ma anche degli oggetti e di tutto ciò che contribuisce a creare una situazione, un paesaggio. Non ammetto insomma la fotografia sensazionalistica.
Sono due e diametralmente opposti: le montagne che fanno parte del mio Dna e i grandi deserti, dove ho percorso più di centomila chilometri, per la loro capacità di interpretare l’idea dell’infinito. Nei deserti ho provato a esorcizzare le paure congenite dell’uomo: la paura dell’infinito e della solitudine. Ammetto tuttavia di essere più attirato dagli ambienti naturali che dalle società umane.
Sono anche in questo caso due: la Siberia e l’estremo oriente russo, paesi in cui ho fatto fatica a coniugare la maestosità dei luoghi con l’indisponibilità delle loro popolazioni a comunicare.
Premetto che sono un “viaggiatore seriale” nel senso che tendo a tornare più volte nello stesso posto. Non puoi infatti dire di conoscere un Paese se non lo visiti in situazioni diverse. L’Etiopia è uno di questi: lì ho realizzato diverse trasmissioni televisive nonché il primo reportage sulla Dancalia uscito in Italia nei primi anni 2000.
Il Nikon School Travel durerà 15 giorni e sarà ricco di argomenti e spunti fotografici. In particolare, si svolgerà nel periodo in cui in Etiopia ricorre la festa più solenne per i Cristiani Copti, il Timkat. Assisteremo, a Lalibela, all’uscita in processione dalle varie chiese rupestri della città delle copie dell’Arca dell’Alleanza donata a Mosè del Dio dei Cristiani. Processioni che saranno accompagnate da un tripudio di colori delle vesti di seta che i fedeli indossano per l’occasione.
Trasferimenti molto lunghi su mezzi scomodi e datati. In Dancalia, per esempio, ci sono temperature alte, ci si sposta in fuoristrada per 8, 10 o 12 ore di fila. Si affrontano trekking facili per chi è abituato a camminare, ma che potrebbero essere di ostacolo per chi fa fatica a muoversi su terreni disagevoli. Durante il Nikon School Travel percorreremo a piedi l’interno del Saba Canyon usato dalle carovane di cammelli che dalla Piana del Sale trasportano il prezioso minerale fino a Makallè, dove viene venduto. È un viaggio bellissimo per il quale occorre un minimo di spirito di adattamento.
Accettare i disagi e trasformarli in vantaggi. Quelle che per un normale turista sono privazioni o difficoltà, in un viaggio fotografico diventano plus. Alzarsi prima dell’alba, per esempio, può risultare difficile ma ti regala le migliori condizioni di luce.
Dopo l’Etiopia, partiremo per altri due Nikon School Travel: il primo in Uzbekistan, ad aprile 2018, lungo la Via della seta; il secondo, in giugno, in Ladakh dove scopriremo l’anima più autentica del buddismo tibetano.
Ho iniziato a fotografare con una Nikon FM più di 40 anni fa e scatterò con Nikon fino al mio ultimo viaggio. Vorrei però precisare che non sono un “fotografo tecnologico” nel senso che mi interessa poco capire la funzione e il significato di ogni singolo tasto della fotocamera. La macchina fotografica è il contenitore dei miei pensieri, lo strumento con il quale fotografare le idee che ho in mente.
Nel mio ultimo viaggio condotto insieme a Silvia Della Rocca lungo la Via della seta, che dall’Himalaya ci ha portati fino alla Grande Muraglia cinese, ho utilizzato una Nikon D500, fotocamera DX che ha saputo coniugare la necessità di viaggiare leggero con un’ottima qualità delle immagini. Mi sono inoltre affidato a un unico obiettivo, l’AF-S Nikkor 18-300mm f/3.5-5.6G ED VR DX che garantisce la giusta copertura focale nella stragrande maggioranza delle situazioni. Con questa attrezzatura ho per esempio ottenuto ottimi scatti in grotta, in condizioni di luce proibitive, impostando gli Iso a 51.200.
Nella mia borsa fotografica non mancano mai l’AF-S Nikkor 12-24mm f/2.8G IF-ED DX, l’AF-S Nikkor 24-70mm f/2.8E ED VR e l’AF-S Nikkor 70-200mm f/4G ED VR. Ho anche il duplicatore AF-S Teleconverter TC-17EII 1.7x ma lo uso non di frequente. La mia ottica preferita resta comunque il 12-24mm perché ritengo sia più importante contestualizzare che ritrarre nel minimo dettaglio.
Da sempre ho una grande carta geografica dove per abitudine fisso bandierine rosse nei posti dove è difficile o impossibile andare. Nel 1975, quando ho iniziato, questi luoghi erano pochi e l’impossibilità di andarci era motivata da questioni di viabilità o frontiere chiuse.
Oggi, se guardo quella carta mi rendo conto che le bandierine rosse sono aumentate a dismisura. Quello della sicurezza è diventato sicuramente un problema. Da questo punto di vista, direi che la globalizzazione ha fallito: un processo che avrebbe dovuto metterci a disposizione il mondo intero, dove poterci muovere senza alcun problema, ha di fatto creato un percorso a ostacoli. Ci sono Paesi bellissimi, incantevoli, oggi ben più pericolosi di mezzo secolo fa: lo Yemen, la Libia, il Libano.
Se vivi viaggiando finisce che ti cacci in qualche situazione scomoda, non si scappa. Ero in Pakistan il giorno in cui, nell’ottobre del 1984, hanno assassinato Indira Gandhi. Stavo per prendere un aereo e lo stesso è stato dirottato in Bangladesh dove sono rimasto per giorni, in aeroporto, senza avere notizie di alcun tipo.
Non si coniuga! La normale vita quotidiana diventa il viaggio, punto. Non ci sono “sì, ma, forse...”. Quando decidi di vivere viaggiando, anche nei momenti in cui sei fisicamente fermo, viaggi con la testa, nel senso che pensi, valuti, programmi i tuoi prossimi spostamenti.
Attenzione però, perché viaggiare in modo continuativo non significa essere sempre in posti necessariamente lontani. Io ho bisogno di scoprire e studiare anche quello che ho vicino. Da 40 anni infatti giro l’Italia in lungo e in largo.
Per il momento assolutamente no (ride, ndr). Ho interessanti programmi per i prossimi venti, trent’anni…
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