Nel mondo contemporaneo, dove parole come "avventura" e "mistero" sembrano relegate ad un passato antico e sfuggente, esistono ancora poche possibilità di misurarsi con se stessi e con l'ignoto. Una di queste ormai rare occasioni si concretizza certamente in quella che nell'immaginario collettivo è la gara motociclistica per antonomasia: la Dakar!
Sebbene i piloti siano seguiti da più di cento giornalisti per una conseguente copertura televisiva di settanta canali in centonovanta nazioni, questa gara, terribile ed affascinante, conserva ancora intatta tutta la sua straordinaria potenza evocativa!
Per quanto il tracciato dal 2009 si sia spostato in altre latitudini, il percorso ha mantenuto intatto tutto il suo carico di insidie: sono infatti centinaia i chilometri da percorrere in solitaria tra distese desertiche, la pampa, le dune ed i sentieri sotto il cocente sole del Sud America. Ed è proprio in un contesto del genere che l'innovazione tecnologica apporta il suo fondamentale contributo per la salvaguardia della salute dei molti piloti impegnati nel circuito. Da quest'anno infatti, attraverso un protocollo sperimentale denominato "Body Cap", sarà sufficiente ingoiare una piccola pillola per vedere le proprie variabili fisiologiche monitorate da uno staff di medici specializzati. Sul veicolo e sulla pelle del pilota vengono applicati inoltre e rispettivamente un rilevatore ed un cerotto per registrare temperatura esterna nonché quella corporea.
In questo contesto, in bilico tra tradizione ed innovazione, c'è un primato che merita di essere senz'altro evidenziato: la ventottesima edizione a cui Elisabetta Caracciolo prende parte, ventisei volte come giornalista e ben due da vera protagonista, in qualità di copilota, a bordo di un camion. Appassionata di macchine fuoristrada e moto già da ragazzina, Betty – com'è da tutti chiamata - approda nel ruolo di copilota nei rally raid dopo aver seguito una serie di corsi da istruttrice fuoristrada. Già in quegli anni la gara di riferimento era la Parigi-Dakar così che nel 1991 il Corriere Motori chiede ad Elisabetta di coprire la gara in qualità di reporter: ruolo che ha rivestito passando poi alla Gazzetta dello Sport fino a pochissimi anni fa!
" La gara, presa nel suo valore assoluto non è cambiata: è la società intera ad essersi civilizzata! Oggi siamo tutti meno sporchi ma forse anche meno contenti! Un tempo si dormiva tutti insieme, bivaccando all'interno dei campi tendati dopo giorni di fatiche indicibili, si mangiava all'interno di gavette piene di sabbia sotto al terribile sole del deserto. "
"Da un punto di vista giornalistico, certamente grazie all'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione, la gara è cambiata moltissimo! Sotto l'aspetto puramente fotografico incorrevamo principalmente in due problemi: le fotografie che scattavamo non sapevamo mai come fossero venute ed a questa grande criticità aggiungevamo il fatto del difficoltoso arrivo delle stesse nelle redazioni europee. Se i giornali non avevano una redazione distaccata in loco – e questa possibilità era esclusivo appannaggio delle grandi testate – la prima settimana di gara era coperta dalle fotografie d'archivio. A pochi giorni dalla partenza purtroppo c'erano già piloti infortunati a cui era delegato il compito di portare con sé durante il rientro, tutto il materiale fotografico prodotto fino a quel punto: in una settimana eravamo capaci di scattare fino a quaranta rullini! "
Ma nella vita di Elisabetta, piena di aneddoti legati alla fotografia, ovviamente non c'è solamente la Dakar.
" Era da poco caduto il Muro di Berlino ed io stavo seguendo una gara storica e mitica: la Parigi-Mosca-Pechino. Quando giungemmo a Mosca la trovammo veramente molto chiusa. Ci dirigemmo verso i famosi magazzini "Gum" e con nostra immensa sorpresa trovammo un negozio Kodak! Lo svaligiammo letteralmente di tutti i rullini da diapositive che c'erano, acquistandoli tutti per un dollaro l'uno! "