Nel nostro girovagare ci siamo imbattuti in località poco conosciute e trascurate dal turismo di massa. Piccoli borghi medievali dove il fluire della vita segue ancora l'alternanza delle stagioni.
Ci siamo conosciuti pochi anni fa durante una mostra collettiva dove esponevamo alcune nostre fotografie. Differenza d'età e di esperienza sembravano mal conciliarsi con una amicizia duratura. L'elemento comune che condividevamo, oltre alla passione per la fotografia, era l'utilizzo convinto di attrezzatura Nikon. Una reciproca simpatia e condivisione per alcuni generi fotografici ci ha portato invece a seguire insieme dei percorsi formativi presso importanti scuole di fotografia della capitale e della provincia. Nel frattempo la nostra amicizia e frequentazione si sono estese anche alle rispettive famiglie. Mogli pazienti e (fortunatamente!) a loro volta appassionate, hanno supportato e incoraggiato le nostre iniziative.
L'ultima in ordine di tempo e che proponiamo in questo Nikon Life, riguarda alcune giornate trascorse in solitaria in Abruzzo, all'interno del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, soprattutto nel comprensorio tra le province di L'Aquila e Pescara.
Grazie anche alla presenza del più noto Parco Nazionale di Abruzzo e a quello della Majella, l'Abruzzo è conosciuto anche come la regione verde. Oltretutto, la semplice osservazione orografica della regione, dal mare ai monti, sembra coincidere perfettamente con la locuzione spesso attribuita a Gabriele D'Annunzio, ma in realtà coniata da Primo Levi (non quello torinese però, autore di memorie importantissime sui campi di concentramento nazisti) che la descrisse come regione “Forte e Gentile”.
E la gente d'Abruzzo “... educata dai monti alla libertà e costretta dalla roccia al lavoro...” incarna perfettamente l'animo e le caratteristiche della sua terra.
Aspra eppure accogliente, spesso resa fertile grazie all'incessante e caparbia opera umana. Una regione che ha dato i natali a personaggi illustri come il già citato D'Annunzio, Ennio Flaiano e Ignazio Silone, solo per rimanere nel campo della letteratura.
Nel nostro girovagare ci siamo imbattuti in località poco conosciute e trascurate dal turismo di massa. Piccoli borghi medievali quasi disabitati, dove il fluire della vita segue ancora l'alternanza delle stagioni scandite dai ritmi dell'agricoltura e della pastorizia.
Uno di questi è Corvara (PE), piccolo comune con circa 250 abitanti, suddiviso in diverse contrade sparse nei dintorni dell'originario nucleo medievale del XI secolo, sito nel versante meridionale del parco, a circa 670 metri s.l.m. al cui interno risiedono attualmente solo 6 persone.
L'antico borgo con costruzioni in pietra è abbarbicato, con apparente precarietà, a un costone roccioso del monte Aquileio (“Lu pizzu della Queglia” secondo il dialetto locale) e a cui è possibile accedere solo a piedi attraverso una ripida e lunga scalinata.
L'etimologia del suo nome significa verosimilmente il “paese dei bruni”, derivante dall'espressione unno-tartara “kara var”. Addentrandosi nelle viuzze fiancheggiate da tipiche costruzioni in pietra grezza e per lo più abbandonate e decadenti, si ha l'immediata percezione che il tempo in questa località si sia fermato. Incontrando uno dei pochissimi abitanti e chiacchierando un po' con lui, abbiamo avuto modo di apprezzare la tradizionale cordialità e ospitalità abruzzese, assaggiando formaggio e vino locale rigorosamente prodotti in proprio! Nel medioevo Corvara, grazie alla strategica posizione, fu fortificata per presidiare il vicino valico di Forca di Penne, importante percorso tratturale e passaggio obbligato per pastori e greggi.
Sul posto è tuttora presente e ben visibile, una torre d'avvistamento, in parte lesionata dal terremoto del 2009. Si erge solitaria e fiera su un rilievo montuoso da cui domina valli coltivate a vite e ulivi. Quando il maltempo incombe, le nuvole basse l'avvolgono fin quasi a farla scomparire. Ma a una folata di vento la sua sagoma si staglia di nuovo e si rende visibile anche da chilometri di distanza. Come un faro indica la rotta, l'antica torre in passato era sicuro riferimento per i pastori della transumanza che sostavano nei pressi con le loro greggi anche di migliaia di capi. La località di Forca di Penne segna anche l'ideale confine tra le provincie di Pescara e L'Aquila.
Da qui, percorrendo alcune tortuose strade provinciali che s'inerpicano in quota, abbiamo raggiunto e attraversato Castel del Monte e successivamente l'abitato di Calascio, sormontato dalla nota Rocca omonima. Costruita nell'anno mille con compiti principali di avvistamento e sorveglianza, dall'alto dei suoi 1500 metri d'altitudine, sovrasta la valle del Tirino e la piana di Navelli.
È un posto meraviglioso che evoca sensazioni particolari. Ci siamo tornati più volte perché è spesso caratterizzato da mutevoli condizioni meteo nell'arco della stessa giornata. Soprattutto al tramonto, la presenza di nubi temporalesche dense e scure, attraversate dai raggi solari, rappresenta una vera manna per gli appassionati di fotografia.
Durante la nostra ultima escursione sul posto, ci siamo imbattuti in condizioni meteo avverse che non solo non hanno tolto fascino al luogo, ma anzi hanno conferito allo stesso un aspetto misterioso, quasi gotico.
Confidando nella tropicalizzazione delle nostre reflex Nikon D600 e D610, abbiamo scattato anche sotto una pioggia persistente, senza bisogno di protezione alcuna per le fotocamere.
Alla lunga, provati più noi che le nostre attrezzature fotografiche, abbiamo deciso di fare rientro, non prima però di aver dedicato qualche scatto anche alla vicina chiesetta, a pianta ottagonale, di Santa Maria della Pietà.
L'indomani, nonostante il cielo sempre cupo e minaccioso, puntiamo verso Campo Imperatore, il cui altopiano posto a una quota variabile tra i 1.500 e i 2.000 metri, è conosciuto anche come Piccolo Tibet.
Giunti in quota lo sguardo si perde sulla vastità degli spazi aperti. Cime imponenti e contrafforti rocciosi fanno da cornice ai pascoli sterminati frequentati da greggi di ovini e mandrie di bovini, apparentemente libere e non vigilate se non dalla discreta ma assidua e minacciosa presenza dei cani da pastore maremmano-abruzzesi.
Sul crinale di una collina, un gruppo di cavalli indugia alla nostra presenza stagliandosi contro il cielo plumbeo. Ci consentono qualche scatto prima di voltarci le spalle e spostarsi più in basso. Poco dopo, la pioggia ci sorprende ancora una volta. Scrosci improvvisi tormentano la nostra escursione, senza però farci desistere dall'immortalare lo splendore di questa natura varia e particolare.
Il tempo ogni tanto concede un po' di clemenza e allora tra le nuvole, il sole proietta sull'altopiano una luce divina. I suoi raggi netti e marcati sembrano un'ideale passerella tra la terra e il cielo. Vien quasi voglia di provare a percorrerli a piedi!
Ci spostiamo di nuovo, fino a trovare uno specchio d'acqua circondato dai monti che arrivano a lambirne i confini. Come possiamo capire dalle impronte sulle sue rive, questo è luogo di beveraggio per il bestiame brado che pascola questi prati.
Con l'automobile ci spingiamo un po' più in alto salendo ancora di quota.
D'improvviso dietro una curva, la sommità del Corno Grande ci appare completamente avvolta dalle nuvole e illuminato in maniera intensa e uniforme.
Uno spettacolo per gli occhi!
Scendiamo al volo dalla macchina e imbracciamo le reflex. Il teleobiettivo per catturare il dettaglio; una focale più ampia sull'altra per riprendere l'intera scena e il fotografo all'interno di essa. Meno di un minuto. Quasi un attimo fuggente. Poi il vento spinge volute di nubi dense e ancora cariche di pioggia, come fossero un sipario che chiude la scena, oscurando quella visione che si era materializzata poco prima ai nostri occhi. La pioggia intanto ha ripreso a martellare. Quasi a sottolineare che il tempo concessoci è scaduto. Una rapida occhiata ai display delle fotocamere per valutare quello che siamo riusciti a riprendere. Ci riteniamo fortunati di esserci trovati lì in quel particolare momento e compiaciuti con noi stessi per la tempestività nell'azione.
Ci vengono alla mente gli insegnamenti del grande Henry Cartier-Bresson sulla opportunità e importanza di saper cogliere l'attimo. Un paragone irriverente, certo. Ma la soddisfazione e la stanchezza ci inducono a essere indulgenti con noi stessi.
Voltiamo la macchina e puntiamo nuovamente verso casa, lasciando idealmente questa natura con un arrivederci, certi che torneremo ancora per ammirarne diverse sfumature, nuovi colori ed emozioni.
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