C'è ancora tanta Italia in Eritrea, ma da più di vent'anni il paese è chiuso al mondo e senza pace. Contrasti e incoerenze si incontrano in una serie di scatti che raccontano le contraddizioni di un paese “ai confini tra amore e odio”.
Eritrea, un tuffo nella storia passata del nostro Bel paese.
Siamo nella capitale di uno stato africano. Eppure, con i suoi quartieri di ville ordinate e ben curate, i tavolini all’aperto nei bar e le numerose insegne in lingua italiana, ricorda tanto la bella Roma di qualche decennio fa.
Cappuccino e brioches, espresso con schiuma, pizza napoletana, spaghetti alla bolognese o alla carbonara, il cinema Odeon, la parrucchiera Pinuccia, il cinema Impero e il caffè sottostante, gli stabilimenti della Fiat Tagliero.
Anche le auto e gli scooter che sfrecciano sull’Harnet road, ex Corso Italia, hanno i loghi di casa nostra: Fiat, Lancia, Piaggio.
Oggi, in questo angolo di Africa, la lingua italiana è parlata solo dagli anziani, i giovani studiano tutti l’inglese. All’Asmara c’è anche una scuola elementare italiana, con insegnanti di casa nostra pagati fior di quattrini dal nostro Ministero degli Esteri. L’edificio è in una traversa di Bologna street, ma qui ci possono andare solo i bambini economicamente più fortunati.
Alla stazione ferroviaria della capitale c’è ancora la vecchia Littorina con motore Fiat.
È ferma da anni.
La ferrovia costruita dagli italiani non arriva più fino a Massawa. È stata smantellata durante una delle ultime guerre con l’Etiopia e mai più rimessa in funzione.
Se non in qualche rara occasione e solo per un tratto.
Nel cimitero militare di Keren, dove sono conservate le spoglie dei soldati italiani, il custode mostra ai pochi viaggiatori stranieri che arrivano fin qui il “libro dei visitatori”. Di solito ci si mette una firma. E si guarda la data dell’italiano passato prima di noi.
Un viaggio in un’Africa “Made in Italy”, unica nel suo genere. Apparentemente una bella immagine. Un paese ricco di cultura e storia, una nazione che dall’altipiano, con le sue terre, finisce in uno dei mari più belli del pianeta. Isole incontaminate con fondali e spiagge uniche.
Fa caldo quando si scende dalle montagne e ci si avvicina al mare. L’umidità è penetrante e crea spesso nuvole dense di malumore. La nebbia che sale dalla costa, da anni, spesso avvolge tutto e ammutolisce la gente. Paesaggi, cultura, tradizioni e frammenti di vita quotidiana sono soffocate da uno dei regimi più feroci. In questo angolo del Continente Nero, solo i muti sopravvivono.
Lo testimoniano le migliaia di giovani che fuggono dalla dittatura di Isaias Afewerki avventurandosi nel deserto africano fino al Mediterraneo, per poi, dopo pericolose navigazioni su imbarcazioni fatiscenti, approdano sulle coste del nostro paese.
Da più di vent’anni è un paese chiuso al mondo e senza pace.
L’Eritrea è un paese povero. La sua economia è basata quasi esclusivamente sull’agricoltura.
Oggi questo splendido stato dell’Africa orientale sopravvive grazie agli aiuti internazionali.
Contrasti e incoerenze entrano a far parte del viaggio creando nuove rughe interiori. La situazione da queste parti è terribilmente angosciosa.
Ma l’Eritrea è uno di quei posti dove ci lasci il cuore. E non sai il perché. Un luogo senza “parole”, ai confini tra amore e odio.