Quando ti immergi in un’esperienza unica come quella di visitare l’Africa e scegli di coglierne l’essenza, assaporarne gli odori, il gusto e le sensazioni forti che trasmette, c’è qualcosa che penetra nella tua vita e diventa tuo per sempre.
Alcune immagini non le puoi condividere, devono restare tue, conservate nel profondo dell’anima. Te ne appropri e non vuoi condividerle con nessuno, perché per una volta il tuo mondo si capovolge, cambia la prospettiva da cui guardi la vita e l’esperienza che vivi è qualcosa di indimenticabile. Per me visitare l’Africa può riassumersi così.
I quattro viaggi che ho fatto dal 2003 al 2007, grazie all’impegno di Sos Terzo Mondo, movimento fondato dal mio amico pastore Ernesto Bretscher, e dell’organizzazione americana Compassion che si dà da fare in tutto il mondo, mi hanno arricchito oltre ogni misura e immaginazione, regalandomi esperienze che toccano l’anima e ti fanno rendere conto della futilità del nostro vivere quotidiano.
Muovendomi tra N'Djamena, capitale del Ciad, e Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, di esperienze ne ho vissute tante. E ogni volta ho cercato di cogliere, con le mie Nikon, ciò che esprimevano i volti delle persone dei vari luoghi che visitavo.
Non era tanto il lato paesaggistico ad attirare la mia attenzione, ma la fierezza lampante che notavo negli occhi della gente: la stragrande maggioranza non aveva nulla da darti se non amore, in maniera pura, non contaminata. Roba da toccarti lo stomaco per quanto era forte l’emozione.
Attraverso i sentimenti questa gente finiva per insegnarti qualcosa, come quando uno dei tanti orfani che incontravi veniva a prenderti la mano e ti accarezzava. Mi veniva da pensare: è proprio vero che i bambini trasmettono l’amore dei Dio. Ricordo che quando arrivavamo in uno dei tanti villaggi sperduti da quali si transitava, dove la gente attendeva il nostro arrivo anche per giorni, le scene di festa e la felicità negli occhi dei bambini erano immense.
Ti dimenticavi d’aver viaggiato per interminabili ore su un fuoristrada semi devastato o su camioncino militare scoperto, su strade sterrate che ti facevano rimbalzare a ogni buca.
Raccogliere l’abbraccio della gente ti toglieva il fiato e ti ripagava dei sacrifici fatti. In un villaggio, per esempio, ricordo che ad attenderci c’erano tutte le donne ai lati della strada.
Tenevano i fiori in mano, sollevati al cielo. Al nostro passaggio si toglievano uno strato del loro caratteristico vestito, lo posavano a terra e ci facevano camminare sopra, buttandoci al contempo i petali dei fiori.
Sono stati momenti in cui a stento trattenevi le lacrime.
Un’altra esperienza indimenticabile è stata quella vissuta nel villaggio dei pigmei, che già di per sé sono gruppi particolari, che vivono tra magico e superstizioso, non integrati con il resto della popolazione e mai fermi nello stesso posto.
Ricordo che iniziavano a cantare e ballare intorno al fuoco verso le nove della sera e andavano avanti fino alle due del mattino. Già alle prime luci dell’alba, però, il villaggio si risvegliava con un rito molto particolare: iniziava a cantare una donna e poi, man mano che si svegliavano, si associavano anche gli altri. Il tutto, mischiato agli odori della foresta e ai rumori di questi luoghi selvaggi, durava circa un’ora e in pratica rappresentava un po’ la “sveglia” per il villaggio.
Nei miei viaggi in Africa ho mangiato di tutto. Tante volte non ho nemmeno capito cosa. Ho dormito in posti assurdi, quasi sempre vestito e ben abbottonato per scongiurare morsi di insetti velenosi, sfatato preconcetti e sfidato paure.
Aver avuto spirito di adattamento mi ha sempre aiutato, ma ciò che mi ha spinto a non mollare, anche nei momenti peggiori, è stata la mia voglia estrema di conoscere.
Perché di momenti brutti, in una terra caratterizzata da contrasti fortissimi e da una guerra civile sempre accesa, ce ne sono stati tanti.
Per citare un paio di casi, ricordo quando stavamo raggiungendo uno dei tanti villaggi in cui portavamo la nostra opera caritatevole e ci siamo ritrovati a dover saltare giù dalle jeep e a doverci mettere faccia a terra, per come ci “consigliavano” vivamente i soldati della milizia locale che ci scortavano.
Non dimenticherò mai la paura che mi ha assalito mentre eravamo sdraiati sullo sterrato e i militari puntavano i fucili verso qualcosa o qualcuno che poteva nascondersi tra le sterpaglie. In quelle zone lì facevano le loro scorribande i “coupers des routes” (ossia i “tagliatori di strada”), banditi noti per la loro ferocia. Per fortuna, quella volta, fu un falso allarme. Così come quando andai al mercato, nella capitale N'Djamena, e mi ritrovai in un attimo circondato dai militari.
La zona era quella della villa del presidente e, in quei frangenti, era scattato l’allarme per un presunto attacco armato dei ribelli. Potevo ritrovarmi nel bel mezzo di uno scontro a fuoco e non sapere più come uscirne, ma anche quella volta è andata bene.
In tutto ciò, con la mia Nikon, ho sempre cercato di immortalare gli attimi più importanti, anche se a volte, obiettivamente, non è stato semplice. Come quando ci siamo trovati sulla piroga che ci ha condotti, via fiume e in circa due ore, nel villaggio dei pigmei.
Il rischio di imbarcare acqua era dietro l’angolo e sotto di noi c’erano i coccodrilli. Eppure anche lì, cercando di non farmi cadere l’attrezzatura nel fiume, la voglia di fermare gli attimi più belli è stata determinante. Ogni momento dei miei viaggi in Africa è stato importante, ogni emozione vissuta è rimasta impressa nella mia anima.
Aver ricevuto amore, accoglienza e ospitalità da gente povera, ma ricchissima spiritualmente, che delle frenesia del mondo occidentale non sa un bel niente, è stata un’esperienza impagabile.
In una terra dove non esistono le vie di mezzo, dove dominano i contrasti, le donne vengono violentate e i bambini muoiono di fame, la gente è però capace di manifestare ancora sentimenti non pilotati ed è ancora uguale a come appare per strada. La stessa strada sulla quale una vita umana non ha però nessun valore, pur rimanendo, al contempo, l’essenza del tutto.